Morte di Pasolini, nuova indagine della procura
 

La procura riapre il fascicolo sull´omicidio di Pier Paolo Pasolini. Letta l´istanza di riapertura delle indagini preliminari depositata venerdì scorso dall´avvocato Stefano Maccioni e dalla criminologa Simona Ruffini, il procuratore Giovanni Ferrara ha affidato al sostituto Diana De Martino l´incarico di riesaminare i faldoni del delitto, avvenuto 34 anni fa. La chiave per diradare le nubi sulla fine del grande scrittore e poeta potrebbe infatti essere nascosta nelle due teche conservate al Museo criminologico di Roma. La verità giudiziaria consegnata alla storia non ha mai convinto.

È stata un´inchiesta difficile, nata nel ´75 tra i silenzi impacciati per la scabrosità del contesto e basata sulla personalità intricata e sui ricordi confusi e contraddittori di Pino Pelosi, il "ragazzo di vita" diciassettenne con cui il poeta cinquantatreenne si incontrò poco prima di essere ucciso tra le sterpaglie del lido di Ostia. Era la notte tra l´1 e il 2 novembre, Pasolini caricò in auto Pino Pelosi in piazza dei Cinquecento e si fermò alla trattoria "al Biondo Tevere", solito tavolo. Cenò solo Pino, pasta "ajo e oio" e una birra, poi ripartirono insieme sull´Alfa Gt 2000, e andò incontro alla morte sul litorale di Ostia. Lo colpirono con violenza, forse con un bastone, poi lo finirono investendolo con la sua stessa auto. Fu Pelosi, con l´aiuto di altri, disse la prima sentenza. Fu lui solo, concluse l´appello. 

Al museo criminologico di Roma ci sono due teche dedicate al delitto. Nella prima i reperti di Pasolini, nella seconda quelli di Pelosi: le scarpe acquistate da "Ramirez", l´anello con pietra rossa e la scritta "United States Army" trovato a una cinquantina di metri dal luogo del delitto. «Perso nella colluttazione», disse Pelosi in una delle sue ricostruzioni. Si dichiarò colpevole, e venne condannato a nove anni di carcere, ma nel 2005 ritrattò tutto durante un´intervista in tv. Disse che a uccidere erano stati in tre, e altrove parlò di cinque persone. Siciliani, disse. Si riaprì l´indagine, ma si impantanò ancora nelle sabbie mobili della memoria di Pelosi, che qualche verità nascosta provò pure a venderla al migliore offerente.

Quel che è certo è che su quei reperti non sono stati effettuati mai i riscontri scientifici che le tecniche investigative di allora non conoscevano, e quelle di oggi sì. Una pista sostenuta anche dal colonnello Luciano Garofano, comandante del Ris dei carabinieri. Ma il contesto in cui stavolta ci si muove, e il movente verso cui ci si indirizza, sono ben diversi da quelli antichi di una ribellione dopo un rapporto omosessuale, o di un´aggressione fascista. 

No, stavolta si punta altrove. «È necessario fugare i dubbi dopo le dichiarazioni rese da Pelosi il 12 settembre e pubblicate nel libro "Profondo Nero", e soprattutto dalle indagini del pm Vincenzo Calia sulla morte di Enrico Mattei», dice l´avvocato Maccioni. La tesi è suggestiva, allaccia con un unico filo tre grandi misteri: la morte del petroliere, quella del giornalista Mauro De Mauro e quella di Pasolini. Petrolio, il romanzo che uscì postumo, avrebbe potuto svelare la verità sull´omicidio di Mattei, camuffato da incidente aereo, rendendo pubblico qualcosa che aveva scoperto e non gli hanno permesso di raccontare. Lo stesso destino che potrebbe essere stato fatale a De Mauro.

la Repubblica   2 aprile 2009