Il morso del Caimano
È un po' ingenuo, anzi molto, stupirsi che Berlusconi sia
tornato Caimano. Se esiste una persona fedele a se stessa, oltre ogni umana
tentazione di dubbio o di noia, questa è il Cavaliere. Era così già molto prima
della discesa in politica, con la sua naturale carica eversiva, il paternalismo
autoritario, l'amore per la scorciatoia demagogica e il disprezzo irridente per
ogni contropotere democratico, a cominciare dalla magistratura e dal giornalismo
indipendenti, l'insofferenza per le regole costituzionali, appresa alla scuola
della P2.
Il problema non è mai stato quanto e come possa cambiare Berlusconi, che non
cambia mai. Piuttosto quanto e come è cambiata l'Italia, che in questi quindici
anni è cambiata moltissimo. In parte grazie all'enorme potere mediatico del
premier.
Ogni volta che Berlusconi ha conquistato Palazzo Chigi ha provato a forzare
l'assetto costituzionale e per prima cosa ha attaccato con violenza la
magistratura. Lo ha fatto nel 1994 con il decreto Biondi, primo atto di governo;
nel 2001, quando i decreti d'urgenza sulla giustizia furono presentati prima
ancora di ricevere la fiducia; e oggi. Con una escalation di violenza nei toni
e, ancor di più, nei contenuti dei provvedimenti.
Il pacchetto giustizia di oggi è più eversivo della Cirami e del lodo Schifani,
a sua volta più eversivi del "colpo di spugna" del '94. Ma, alla crescente forza
delle torsioni imposte da Berlusconi agli assetti democratici, ha corrisposto
una reazione dell'opinione pubblica sempre più debole. Nel '94 la rivolta contro
la "salva-ladri" azzoppò da subito un governo destinato a durare pochi mesi. Nel
2001 i "girotondi" inaugurarono una stagione di movimenti, con milioni di
persone nelle piazze, che si tradussero fin dal primo anno in una serie di
pesanti sconfitte elettorali per la maggioranza di centrodestra, pure
larghissima in Parlamento.
La terza volta, questa, in presenza di un tentativo ancora più clamoroso di far
saltare i cardini della magistratura indipendente, la reazione è molto debole.
L'opposizione, accantonate le illusioni di dialogo, annuncia una stagione di
lotte, ma non ora, in autunno. La cosiddetta società civile sembra scomparsa
dalla scena. I magistrati sono gli unici a ribellarsi con veemenza, ma sembrano
isolati, almeno nei sondaggi. Quasi difendessero la propria corporazione e non i
diritti e la libertà di tutti, così come l'hanno disegnata i padri della
Costituzione.
Ecco che la questione non è che cosa sia successo a Berlusconi (nulla), ma che
cosa è successo al Paese. Siamo davvero diventati un "paese un po' bulgaro",
come si è lasciato sfuggire il demiurgo pochi giorni fa? La risposta, purtroppo,
è sì.
In questo quarto di secolo che non ha cambiato Berlusconi, l'Italia è cambiata
molto e in peggio, il tessuto civile e sociale si è logorato, il senso comune è
stato modellato su pulsioni autoritarie. Molti discorsi che si sentono negli
uffici, nei bar, sulle spiagge oggi, da tutti e su tutto, si tratti di
immigrazione o di giustizia, di diritti civili come di religione, di Europa o di
sindacati, nell'Italia del '94 sarebbero stati inimmaginabili.
Il berlusconismo è partito dalla pancia di un Paese dove la democrazia non
si è mai compiuta fino in fondo, per mille ragioni (ragioni di destra e di
sinistra), ma ora ha invaso tutti gli organi della nazione ed è arrivato al
cervello. La mutazione genetica della società italiana è evidente a chi ci
guarda da fuori. Perfino negli aspetti superficiali, di pelle: non eravamo mai
stati un popolo "antipatico", com'è oggi. Più seriamente, il ritorno di
Berlusconi al potere e le sue prime e devastanti uscite hanno evocato i peggiori
fantasmi sulla scena internazionale.
Si tratta però di vedere se il "caso Italia" è tale anche per gli italiani. Se
nell'opinione pubblica esistano ancora quei reagenti democratici che hanno
impedito nel '94 e nel 2001 la deriva, più o meno morbida, verso un regime. I
segnali sono contraddittori, la partita è aperta. Certo, in questi decenni la
forza d'urto del populismo berlusconiano è andata crescendo, così come la presa
su pezzi sempre più ampi di società. Non si tratta soltanto di potere delle
televisioni o dell'editoria, ma di una vera e propria egemonia culturale. E
sorprende che nell'opposizione, gli ex allievi di Gramsci, ancora oggi, a
distanza di tanto tempo, non comprendano i meccanismi e la portata della
strategia in atto.
Altro che "l'onda lunga" di craxiana memoria. Anche loro, purtroppo, non
cambiano mai. Si erano illusi (ancora!) di trasformare Berlusconi in uno
statista, offrendogli un tavolo di trattative. S'illudono (ancora!) di poter
resistere con la politica del "giù le mani" e con l'arroccarsi nelle regioni
rosse, che sono già rosa pallido e rischiano prima o poi di finire grigie o
nere. In attesa di tempi migliori.
Non ci saranno tempi migliori per l'opposizione. Bisogna trovare qui e ora il
coraggio di proposte forti e alternative al pensiero unico dominante, invenzioni
in grado di suscitare dibattito e bucare così la plumbea egemonia "bulgara"
dell'agenda governativa. Bisogna farsi venire qualche idea, anzi molte, una al
giorno, per svegliare l'opinione pubblica democratica dal torpore ipnotico con
cui segue gli scatti in avanti di Berlusconi. Lo stesso torpore ipnotico che
coglie la preda davanti alle mosse del caimano. Che alla
fine, attacca.
Curzio Maltese La Repubblica 21 giugno 2008