Moratoria aborto? Un attacco alla famiglia
La Chiesa (e non solo) equipara l'interruzione di gravidanza all'omicidio ma è
soltanto una guerra moderna per mortificare la soggettività femminile
«Le pubbliche amministrazioni non devono assecondare gli attacchi contro la
famiglia fondata sul matrimonio»: è quanto ha detto ieri mattina Benedetto XVI
nel discorso pronunciato in occasione dell'udienza concessa agli amministratori
del comune di Roma, della Provincia e della Regione Lazio.
La credibilità delle parole dette si misura sempre sulla coerenza dei fatti. Il
papa invita a non assecondare gli attacchi contro la famiglia mentre a sua volta
non teme di assecondare e benedire l'orrida pratica repressiva verso la donna
implicita nell'accostamento fra pena di morte e aborto.
Annullare la soggettività femminile, negarle fiducia nel momento più alto della
propria identità e del proprio ruolo, deprimere il suo senso di responsabilità,
considerare nemica della vita la madre costretta ad affrontare il dramma
dell'aborto, non è forse un attacco frontale anche alla famiglia? E' distruttiva
nei confronti della donna ma anche dei legami familiari la proposta di
"moratoria" dell'aborto.
Si vede lontano un miglio che è una trovata furbesca, strumentale e
provocatoria, distruttiva verso tutti i legami sociali. Non tende a favorire il
dialogo ma a generare scontro. Impedisce qualsiasi confronto costruttivo sul
tema dell'aborto, sui percorsi per ridurlo ulteriormente e sulle tecniche che lo
rendano più rispettoso dell'integrità fisica e psichica della donna.
Chi ha un minimo di senso critico e anche chi ha una sensibilità educata dal
Vangelo come può dialogare con chi bombarda quotidianamente le coscienze delle
donne con messaggi terroristici, da tutte le tribune e usando tutti i mezzi fino
ad accostare l'aborto alla pena capitale?
Come è possibile considerare interlocutore credibile e affidabile chi esaspera
la drammaticità del mistero della procreazione e considera l'aborto peggio della
guerra, degli stermini nazisti, delle stragi più sanguinarie, chi espone lapidi
ai "bambini non nati" vittime dello sterminio abortista, chi s'intromette nel
rapporto simbiotico gestante-embrione, separando il feto dal corpo della madre,
contrapponendo due vite in totale simbiosi fino a farle divenire nemiche fra
loro, portatrici di interessi personali e vitali opposti, chi obbliga i medici
cattolici, gli infermieri e perfino i portantini, a fare obiezione di coscienza
contro l'orrendo crimine, e non è solo un'obbligazione morale perché l'obiezione
di coscienza è imposta con tutto il peso ricattatorio che ha il potere
cattolico, chi demonizza infine tutti i metodi contraccettivi "innaturali"
impedendo perfino che se ne parli nelle scuole e invitando i farmacisti a
obiettare?
Come il Sabba fu lo strumento inquisitorio della caccia alle streghe così oggi
si usa l'aborto per accendere nuovamente i roghi delle donne. Un passo avanti si
è fatto: è sparito il rogo fisico. Ci si contenta di riproporre la condanna
penale dell'aborto. Ma il risultato culturale e politico è sempre lo stesso:
l'annullamento della soggettività femminile come soluzione finale per il dominio
moderno sulla natura.
Le persecuzioni delle streghe non furono un fenomeno medievale. Il culmine dei
pogrom è tra il 1560 e il 1630, quindi all'inizio dell'epoca moderna. Gli ultimi
processi contro le streghe ebbero luogo nel 1775 in Germania, nel 1782 in
Svizzera e nel 1793 in Polonia.
Le "streghe" vennero lacerate tra la Chiesa, che voleva tener salda la "fede
ormai impallidita" come bastione di resistenza, e la "ragione che stava
fiorendo" e che portava al dominio sulla natura. La fede impallidita e la
ragione fiorente, in feroce competizione per l'egemonia sul mondo nuovo che
stava nascendo, si allearono per togliersi di mezzo la donna, radicale ostacolo
alla cultura del dominio. I medici, ad esempio, contribuirono sistematicamente
con la loro consulenza specifica al controllo del grado di tollerabilità delle
torture delle streghe. Lo fecero per danaro ma anche per strategia politica e di
potere.
Il nuovo soggetto "illuminato" doveva costituirsi in opposizione alla natura
interiore ed esteriore e non in sintonia con esse. L'immagine magica del mondo,
che aveva potuto resistere nei secoli nonostante la cristianizzazione, venne
eliminata all'irruzione del periodo manifatturiero, con il trionfo della scienza
moderna sulla teologia.
Suo becchino fu però la chiesa, cosa che comportò l'assassinio delle donne, nel
senso più vero dell'espressione. La cifra di un milione di roghi non è
esagerata. Sia l'umanità medioevale che impallidiva e resisteva sia la "nuova"
umanità dell'epoca industrializzata era maschile.
Scrive queste cose, ed è sintomatico, la teologa tedesca Hedwin Meyer Wilmes
docente di teologia femminista all'università cattolica di Nimega (Olanda),
sulla rivista teologica internazionale Concilium 1/98.
La competizione storica delineata sopra per l'egemonia sulla modernità prosegue
oggi. Le modalità sono diverse, ma resta una competizione fra culture maschili
che si alleano per togliersi di mezzo l'ostacolo comune e cioè la soggettività
femminile.
Mi domando sempre come è possibile che un mondo cattolico centrato sul Vangelo
possa ridursi a questo. Trovo una risposta nella mia esperienza di vita.
Immaginate un giovane immaturo poco più che ventenne, vissuto ed educato
nell'ambiente asettico del seminario, lontano dai problemi della vita, infilato
improvvisamente in un confessionale, che si trova a decidere se assolvere o
condannare una donna che gli confessa di voler abortire senza recedere o di
averlo già fatto senza vero pentimento.
Se assolve la donna condanna se stesso perché gli hanno insegnato che non ci può
essere pietà per il peccatore impenitente. Se nega l'assoluzione condanna
ugualmente se stesso perché viene a trovarsi in contrasto col Gesù del Vangelo:
"chi è senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata, nemmeno
io ti condanno". Quel prete o viene indotto a intraprendere un cammino di
liberazione rispetto al lavaggio del cervello che ha ricevuto in seminario e
rispetto alla omologazione teologica e pastorale o si chiude in un intristimento
senza speranza che egli tenterà di razionalizzare scaricando il suo senso di
colpa e la sua angoscia su chi ritiene, per lo più inconsciamente, la causa
delle sue sofferenze, e in primo luogo la donna. Da qui la misoginia del clero
ed anche la pedofilia. Mi spiego così, per diretta esperienza e non per sentito
dire né per prevenzione ideologica, questo insistere del mondo ecclesiastico
sulla colpevolizzazione femminile e questa grave sfiducia verso la donna
considerata inaffidabile.
Forse l'esperienza traumatica del pretino immaturo a contatto con i drammi della
vita può ritrovarsi anche nelle esperienze dei giovani medici formati al
principio della salvezza ad ogni costo della vita in senso astratto con scarsa o
nessuna considerazione per la soggettività dei viventi e in particolare per la
donna alle prese con la complessità dei problemi procreativi. Evito di
addentrarmi. Lo potrebbe fare qualcuno interno alla professione medica. E' una
richiesta e un invito. La vita è un valore troppo grande per essere ancora
rinchiusa nella gabbia della cultura patriarcale. La liberazione della cultura
femminile è essenziale oggi per un superamento delle vecchie prigioni delle
anime e dei corpi.
Enzo Mazzi Liberazione 11.1.08
ex parroco dell'Isolotto di Firenze che oggi guida una comunità cattolica di base