Missili e campanili

Non c’è bisogno di aver letto Landscape and Memory (1995) di Simon Schama sulla storia del
paesaggio per sapere che ambienti e landscapes si modificano col tempo.
Anche e soprattutto grazie all’opera dell’uomo: e che poco c’è in essi di puramente «naturale»,
niente di definitivamente «bello». Agli antichi elvezi, probabilmente, le torri e i templi dei romani
sulle prime non piacevano affatto; e, agli elvezi romanizzati, non dovevan garbare granché i
campanili. Che quindi qualche minareto avrebbe davvero compromesso l’armonioso paesaggio
svizzero, con i suoi laghi e i suoi pascoli, è lecito dubitare. Le ragioni del «sì» degli abitanti della
felice Confederazione Elvetica al referendum sul bando alla costruzione delle torri da cui si
chiamano i musulmani alla preghiera debbono essere anche altre.

«Simboli del potere islamico», è stato detto. Ma quale potere? Un campanile cattolico in Svezia
significa forse che quel Paese è passato al papismo? I templi buddhisti di New York simboleggiano
il passaggio degli States alla fede in Gautama Siddharta? E la monumentale sinagoga di Roma
significa forse che la Città Eterna è in mano agli ebrei?
«Niente minareti se non c’è reciprocità», ha cristianamente sentenziato qualcuno. Ma di quale
reciprocità si tratta? Di campanili cristiani molti Paesi musulmani abbondano: dalla Turchia alla
Siria alla Giordania all’Egitto all’Algeria; e il fatto che il re dell’Arabia Saudita ne vieti la
costruzione autorizza forse moralmente gli svizzeri a negare un minareto a una comunità
musulmana fatta di turchi o di maghrebini, che col monarca wahhabita non hanno proprio nulla a
che fare?
Ma le moschee sono fonte d’inquinamento fondamentalista, proclama qualcun altro. Dal che
s’inferisce che l’unico modo per controllare e contrastare il fondamentalismo sia quello di umiliare
molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa. E’ arrivata a
questo, la nostra regressione verso l’intolleranza?

Giratela come volete: ma il risultato del referendum svizzero è un altro tassello nell’allarmante
puzzle della perdita delle virtù di tolleranza e di ragionevolezza di cui l’Europa e il mondo
occidentale stanno dando di questi tempi prove sempre più chiare
. E che questa febbre sia grave è
prova il contestuale rifiuto, opposto dal medesimo popolo svizzero, all’altro referendum, che gli
chiedeva il divieto dell’esportazione di armi e materiale bellico al fine di sostenere lo sforzo
internazionale per il disarmo. Qui, di fronte a ovvi motivi di ben concreto interesse economico, il
popolo per definizione più pacifico d’Europa - ma anche quello militarmente parlando meglio
esercitato - ha rifiutato di arrestare il «commercio di morte».
E’ vero, le armi fanno male alla gente.
Ma in fondo anche il tabacco e gli alcolici: e allora perché non continuarne produzione e vendita,
magari con l’apposizione di qualche scritta d’avvertimento (tipo: «Sparare al prossimo fa male
anche a te»)?
C’è del metodo, in questa follia. Curioso che il minareto somigli dannatamente a un missile, o
anche a un bel proiettile lucente di fucile. I Mani di Charlton Heston, ex Mosè, ex Ben Hur, che tra
1998 e 2003 fu presidente dell’americana National Rifle Association, ne saranno estasiati. Lo
ricordate, senescente eppur fiero della sua armeria simbolo di libertà, nel Bowling for Columbine di
Michael Moore? Chi oggi esulta per l’esito del doppio referendum svizzero può prendere il vecchio
Charlton a emblema del suo trionfo. A questo punto, per il momento, è arrivata la nostra notte.

Franco Cardini      La Stampa  30 novembre 2009