Misoginia
ecclesiale
Una frase del cardinale André Vingt-Trois nella trasmissione “Face aux chrétiens”
(RCF – Radios
chrétiennes Francophones – il 6 novembre), in diretta dall'Assemblea dei vescovi
a Lourdes, ha
risvegliato in me il ricordo delle lotte femministe degli anni 70. Ad una
domanda sull'idea che le
donne possano avere il “lettorato”, cioè possano proclamare la Parola di Dio
nelle liturgie, il
presidente della Conferenza episcopale di Francia ha fatto capire che era
possibile, aggiungendo:
“Il difficile è avere delle donne preparate: non basta portare la gonna, bisogna
avere qualcosa
nella testa.” Una frase suscettibile di rinfocolare “l'odio” che molte donne
avevano negli anni 70
contro la Chiesa e specialmente contro gli ecclesiastici. “L'odio”, come quello
dei giovani delle
periferie: quell'accesso di rabbia molto speciale, fatto di paura e di
aggressività, che sale dal fondo
di una memoria ancestrale tappezzata di umiliazioni e di mancanze di rispetto.
Nel 68, dopo il “maggio” e l'enciclica Humanae vitae, molte donne si sono
allontanate dalla chiesa.
Prendevamo coscienza dei secoli di disprezzo verso le donne: sentenze
insopportabili di certi Padri
della Chiesa per i quali la donna era solo una vagina, un sesso pericoloso, ed
un cervello da gallina;
streghe bruciate al fuoco dell'Inquisizione; donne tenute in disparte,
sospettate, non considerate
degne di fiducia, trattate da minorenni... Quante volte, alle domande sul posto
delle donne nella
Chiesa, ho ricevuto come risposta da parte dei vescovi la stessa esclamazione:
“Ma allora cercate il
potere!”
Ma quanto ce ne infischiavamo del potere, io e le mie “sorelle”! Volevamo
semplicemente essere
noi stesse, dare ciò che avevamo da dare, essere riconosciute. Il potere! E
loro, gli uomini di Chiesa,
si erano guardati nel loro esercizio del potere?
Ho dovuto lavorare molto sulle origini della misoginia per scoprire che la
Chiesa non ne era lei
l'autrice, e tanto meno Gesù che ha rispettato le donne e riconosciuto che loro
capivano certi aspetti
del Mistero meglio dei suoi Apostoli, un po' zoticoni! Però, per secoli,
la Chiesa o ha denigrato o ha
“sacralizzato”, la donna, Eva o Maria, mettendola molto in basso o molto in
alto, come per evitare
di considerarla faccia a faccia, su un piano di uguaglianza. Con l'aiuto
della riflessione e della
grazia, mi sono riconciliata con la Chiesa – compreso quella gerarchica – , che
amo come una
madre. Ho incontrato molti preti e vescovi fraterni, che aspirano veramente ad
un partenariato con
le donne e per i quali provo una profonda amicizia.
Ma ecco che quella frase infelice viene a ricordare che in ogni uomo può ancora
sonnecchiare,
latente, una paura della donna. Certo, il cardinale l'ha detto in tono
umoristico. Ma l'umorismo a
volte tradisce. E, altra cosa ancora più grave: le donne non sarebbero
preparate? Ma insomma! Chi
partecipa alle giornate di ritiro e ai corsi di formazione – anche quelli di
teologia – nella Chiesa? Per
l'80% sono donne. Chi medita di più sulla Bibbia? Le donne. Chi ha un senso
profondo del Mistero?
Le donne.
Per fortuna, non siamo più al tempo delle rivendicazioni sessiste degli anni 70,
e sappiamo che le
riforme non si fanno dall'oggi al domani. Ma resta un problema scottante:
la Chiesa cattolica è
senza dubbio l'ultima istituzione in cui l'autorità e l'ultima parola sono
unicamente maschili. Questo
è davvero conforme all'intenzione di Dio che ha creato l'essere umano uomo e
donna, uno di fronte
all'altro in dialogo? Sapendo quanto ogni parola sia portatrice di un vissuto,
di una sensibilità
sessuata, ci diciamo che la parola ed il volto ufficiale della Chiesa sono
proprio handicappati!
Monique Hébrard, giornalista, scrittrice
in “La Croix”, settimanale cattolico francese, del 22 novembre 2008