Mille anni di
Inquisizione
In una celebre pagina dell’Elogio della follia (1511), Erasmo da
Rotterdam si chiede in base a quale
«autorevole passo della Scrittura divina si comanda di vincere gli eretici
col fuoco anziché
convincerli con la discussione». E più tardi gli farà eco anche Agrippa di
Nettesheim nel denunciare
gli Inquisitori convinti che con l’eretico «non s’ha da combattere con
argomenti e scritture, ma con
fascine et fuoco», forzandolo «a negare le cose sue contra conscientia».
Due illustri pareri, tra i tanti, contro i tribunali dell’Inquisizione che, nel
corso dei secoli, in nome
della lotta all’eresia e ai libri proibiti, hanno perseguitato, incarcerato,
torturato uomini e donne,
fino a spezzare migliaia di vite umane. Tutto ciò senza contare i martiri della
scienza moderna e del
libero pensiero cancellati in un batter d’occhio dalla storia.
Ma come operavano i tanto temuti tribunali della fede? In base
a quali procedure individuavano gli
imputati ed emettevano le crudeli sentenze? Chi erano gli inquisiti e di cosa
erano accusati? Chi
erano gli inquisitori e a quali principi si ispiravano? Come funzionavano i
manuali redatti per
espletare indagini e processi? Quali erano le forme di eresia e le imputazioni
più gravi? E quali
elementi permettevano di identificare streghe e maghi in quanto emissari del
demonio? A queste
domande daranno una risposta i quattro volumi del monumentale Dizionario
storico
dell’Inquisizione — diretto da Adriano Prosperi, in collaborazione con
Vincenzo Lavenia e John
Tedeschi — che vedrà la luce i primi di maggio a Pisa, presso le Edizioni della
Normale (€ 260). Si
tratta di un’opera che non ha precedenti per la mole di materiali utilizzati e
per le competenze degli
studiosi. Del resto i dati parlano chiaro: duemila pagine di grande formato
stampate su doppia
colonna, trecentoquaranta collaboratori di dodici Paesi, milletrecentodieci
voci, oltre seimila titoli
segnalati in bibliografia, ricchissimi indici dei temi e dei nomi e una
consistente appendice
iconografica (con riproduzioni di graffiti conservati nelle carceri, silografie,
quadri).
Adriano Prosperi, uno dei più brillanti storici italiani, per otto anni ha
coordinato la realizzazione di
questo straordinario repertorio enciclopedico sull’Inquisizione. Professore
ordinario di Storia
moderna nella Scuola Normale Superiore e allievo di grandi maestri come Delio
Cantimori e
Armando Saitta, Prosperi non nasconde la sua soddisfazione: «Un’impresa di così
largo respiro, che
parte dal Medioevo per arrivare fino al 1965 (quando il Sant’Uffizio verrà
trasformato in
Congregazione per la dottrina della Fede), non avrebbe mai potuto essere portata
a termine senza
l’apporto di centinaia di esperti che hanno stilato le voci con grande
competenza. E senza il libero
accesso nel 1998 alla documentazione storica conservata nell’Archivio del
Sant’Uffizio
dell’Inquisizione romana sarebbe stato impossibile pensare un dizionario così
come l’abbiamo
realizzato».
Lo studio di nuovi documenti e, soprattutto, delle fonti
processuali ha permesso di conoscere con
maggiore precisione il funzionamento dei tribunali e l’orizzonte teorico che li
animava. «Quando si
parla di tribunali dell’Inquisizione — spiega Prosperi — bisogna distinguere la
loro specifica
funzione rispettando dei parametri geografici e storici ben precisi. Abbiamo
l’Inquisizione
medievale (già nell’XI secolo le prime bolle papali delegano il controllo sulla
dottrina della fede),
l’Inquisizione spagnola e portoghese (con le loro diramazioni colonialistiche in
America, in Africa e
in India) e poi nel 1542 la nascita del Sant’Uffizio a Roma, sotto il diretto
controllo di Paolo III, e
successivamente la creazione dell’Indice dei libri proibiti. In Spagna e in
Portogallo, tanto per fare
un esempio, l’inquisitore è una figura scelta dal sovrano: il potere civile,
avvalendosi dell’autorità
papale, utilizzerà questo strumento per fini anche politici, come testimoniano
le persecuzioni dei
marranos (gli ebrei) e dei moriscos (gli arabi)».
Ben diverse saranno le strategie del Sant’Uffizio in una
realtà, come quella italiana, caratterizzata
da una frantumazione del potere politico. «I rapporti dell’Inquisizione romana —
specifica Prosperi
— con le autorità civili in Italia richiedono strategie che debbono fare i conti
con i molteplici regimi
e con i differenti signori che reggono le corti. A Venezia la Serenissima
pretende la presenza di
giudici laici che assistono al processo. E gli stessi rapporti con
l’Inquisizione spagnola sono
complicati in aree soggette ai sovrani iberici, come la Campania e la Sicilia».
La storia dei tribunali della fede si intreccia anche con le rivolte contro i
tentativi di imporli in
alcuni territori. «Nel 1547 a Napoli — aggiunge lo storico pisano — scoppia un
vero tumulto contro
l’istituzione dell’Inquisizione spagnola. La nobiltà locale temeva che l’uso
politico dei tribunali
avrebbe potuto rovinare intere famiglie come era già accaduto in Spagna. Spesso
i processi si
concludevano con la totale espropriazione dei beni posseduti dai condannati. Ma
altre accese
proteste si ebbero anche a Lucca, Firenze, Mantova, Milano».
Un capitolo tutto particolare riguarda l’inclusione nella
lotta all’eresia dei reati ispirati alla magia.
«Nella seconda metà del Quattrocento — sottolinea Prosperi — i tribunali
ecclesiastici si affiancano
a quelli civili, molto più cruenti e sbrigativi, nella lotta alle streghe e ai
maghi. Si vorrebbe
combattere, come ha mostrato Carlo Ginzburg, quelle sette diaboliche seguaci del
demonio che si
riuniscono nel "sabba" (orge notturne in onore del diavolo). Bastava ricercare
il marchio del
demonio: si presupponeva che una strega marchiata dall’Anticristo non dovesse
provare dolore. E
quindi si esaminava la presunta zona marcata (l’ano, i seni, i genitali, i nei),
sollecitata con un ago
per verificare la reazione. Solo verso fine Cinquecento la complessa materia
viene disciplinata con
una serie di distinzioni, chiedendo più prudenza agli inquisitori».
Un approfondito studio, questo curato da Prosperi, che illumina mille anni di
storia e aiuta a capire
come la persecuzione del dissenso e delle minoranze, la condanna dell’«eresia»,
la coercizione in
materia di fede e di coscienza attraverso la violenza (non solo fisica, ma anche
delle idee), l’ostilità
alla libertà della ricerca scientifica continuino a sussistere, in forme e modi
diversi, anche nella
società del terzo millennio.
Nuccio Ordine Corriere della Sera 7 aprile
2010