Milano, sul web
tornano i cartelli "Non si affitta agli stranieri"
Affittasi appartamento, «no animali, no stranieri». Bar in centro cerca
cameriere, «astenersi
extracomunitari». Affitto bilocale in zona Sarpi, «solo italiani, no cinesi».
Gli annunci come questi,
relativi all'area milanese, su Internet sono centinaia. A pubblicarli sono i
maggiori portali di
compravendita immobiliare e di offerte di lavoro, da Subito.it a Secondamano.
Inserzioni fatte da
aziende, proprietari di casa e agenzie. «Simili inserzioni, fino a qualche mese
fa, non esistevano
quasi - dice Maurizio Crippa, responsabile dell'orientamento al lavoro della
Cgil milanese - ora ne
compaiono a decine ogni giorno». Crippa, che costantemente scandaglia la rete in
cerca di annunci,
fornisce una spiegazione del fenomeno, semplice quanto brutale: «Nel montante
clima di odio per
gli stranieri, il razzismo sembra non avere più bisogno di nascondersi». Per
quanto riguarda le
offerte di lavoro, c'è poi l'influenza della crisi, «che spinge molti a
privilegiare gli italiani nelle
sempre più rare assunzioni». E così tornano sul web, questa volta contro gli
immigrati, quei cartelli
che nella Milano anni Sessanta avvisavano che «non si affitta ai
meridionali». O che in periodi più
tristi della Storia vietavano l'ingresso nei negozi «ai cani e agli ebrei».
La febbre dell'esclusione dello straniero a Milano è un
contagio trasversale. C'è il centralissimo
caffè a due passi dal Policlinico, che sul portale cerca «barista di bella
presenza, max 22 anni,
no straniero» e l'agenzia immobiliare di Trezzano sul Naviglio che negli annunci
di affitto alterna le
formule «no animali, no stranieri» e «no animali, solo italiani». La casa
editrice pronta ad assumere
magazzinieri «solo italiani» e il proprietario di una mansarda vicino al
Politecnico che non vuole
inquilini «extracomunitari». Per la segnalazione di simili casi di
discriminazione, in città è attivo
uno sportello delle Acli convenzionato con l'Unar, l'ufficio nazionale anti
discriminazioni razziali
(Unar) della presidenza del consiglio dei ministri. L'avvocato Fiorella Landro,
responsabile del
servizio legale, spiega: «Nonostante il proliferare di questi annunci, le
denunce sono poche, segno
che gli stranieri hanno paura a esporsi. Dovrebbero essere gli italiani a
chiamare». Al numero verde
nazionale dell'Unar, nell'ultimo anno le presunte discriminazioni «su base
razziale» segnalate sono
800, in 320 casi sfociate in procedimenti legali. «Nel 24 per cento dei casi si
tratta di
discriminazioni nell'accesso al lavoro - dice Pietro Vulpiani, antropologo e
tecnico dell'Unar - nel
16%, il problema per lo straniero è proprio trovare casa».
Per Dario Guazzoni, presidente dell'associazione milanese
degli amministratori di condominio
Anaci, «l'ostilità nei confronti degli stranieri è irrazionale, visto che la
conflittualità fra condòmini
non aumenta con la presenza degli extracomunitari. E anche nella puntualità sui
pagamenti
dell'affitto, gli stranieri sono mediamente più ligi degli italiani. Il
problema è culturale». Per quanto
riguarda invece l'esplicita esclusione degli stranieri negli annunci di lavoro,
il razzismo spesso
nasconde un calcolo economico. Per Crippa, «scrivendo "solo italiani", il
datore lancia un
messaggio allo straniero: per avere il posto, devi accettare di essere pagato
meno». I casi raccolti da
Cgil sono da incubo: lavapiatti cinesi full-time a 500 euro al mese, camerieri
nordafricani a 600
euro, commesse moldave che in negozi di abbigliamento guadagnano 750 euro
anziché i 1.000
previsti. «Nel caso delle moldave - dice Crippa - l'annuncio era chiaro: non
volevano stranieri.
Quindi, facendole lavorare, l'azienda ha fatto loro un favore».
A vietare gli annunci discriminatori è il decreto legislativo 215 del 2003, che
introduce «la parità di
trattamento, indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica». Se il
cittadino che fa l'annuncio
non rischia nulla dal punto di vista legale, la norma obbliga invece chi
pubblica le inserzioni a
pagare risarcimenti. Il primo processo è in corso a Roma: su segnalazione dell'Unar,
l'unione
forense per la tutela dei diritti dell'uomo ha avviato una causa civile nei
confronti del giornale di
annunci Portaportese, che aveva pubblicato segnalazioni come «non si
affitta a persone di colore» e
«solo studentesse italiane». La sentenza, attesa entro un anno, è destinata a
fare scuola. «Abbiamo
chiesto di condannare il direttore del giornale a un risarcimento, e i soldi
saranno poi spesi in
campagne contro la discriminazione - dice l'avvocato Antongiulio Lana, che segue
la pratica - ma
l'importante è che la sentenza metta un freno a una pratica discriminatoria che
è sempre più
evidente».
Franco Vanni la Repubblica
4 dicembre 2009