Meglio i pastori o i re Magi?

Anche quest'anno per Natale si è riproposto il classico conflitto fra l'albero e il presepe, fra Babbo Natale e Gesù bambino. Una contesa ormai classica. Ogni anno ci si chiede chi sostiene chi, con quali argomenti e soprattutto con quali risultati. A chi la vittoria o, forse, un pareggio.
Di anno in anno il conflitto si fa più ambiguo: non è più - se mai lo è stato - uno scontro fra laici da una parte e credenti (cattolici) dall'altra. Il mondo cattolico, da parte sua, si riempie di Babbi Natale ma anche di alberi: uno, altissimo, arriva addirittura in piazza San Pietro, quasi a benedire dall'alto il presepe. Il mondo laico, viceversa, si impegna a sostegno del presepe che non deve scomparire dai luoghi pubblici, né dal Parlamento né dalle scuole statali.
Che dire? Arricchimento o confusione? Un interrogativo che attraversa la nostra storia e la nostra società e che a Natale diventa più acuto, più stringente. I pareri sono noti, come anche le mediazioni.
Il mondo cattolico è in grande maggioranza contento. A cominciare dai vertici vaticani, dove si pensa che il Natale è una buona occasione per affermare la presenza cattolica ben al di là della cerchia, sempre più ristretta, dei «credenti» . La religione (cattolica) è per tutti. No a un cattolicesimo privato. Il Natale - albero o presepe - salva il cattolicesimo sociale.
Soltanto una piccola minoranza di cattolici si preoccupa per queste contaminazioni. Teme che il cattolicesimo sociale e pubblico sia troppo vicino a quello politico. Teme, soprattutto, che il Natale pubblico faccia perdere di vista il vero Natale, quello del vangelo, dei piccoli, dei poveri, degli ultimi. Teme anche il consenso natalizio di tanti non credenti o credenti neocon: un consenso interessato se non addirittura ipocrita. Meglio i pastori che i re magi.
Un dilemma, questo del vero significato del Natale, di fronte al quale il cattolicesimo si è sempre trovato, senza risolverlo. Sarà così anche questa volta. Una festa della ambiguità.

 

Filippo Gentiloni      il manifesto 24/12/2006