Maroni: fuori dai piedi Medici senza frontiere



Piccoli cattivi segni di quotidiano razzismo, a volte inconscio, rivelatori però della fetida atmosfera
corrente.
Così l´espressione del ministro Maroni, colta dalla Tv mentre alza gli occhi al cielo con
finta disperazione, mentre il Capo dello Stato saluta con parole di elogio i «nuovi cittadini italiani»,
fino a ieri extra comunitari. E l´immancabile euro-leghista d´assalto Mario Borghezio che si
compiace esclamando: «Ero sconcertato, poi ho visto gli occhi di Maroni e mi sono rasserenato, noi
terremo duro, l´emigrazione è un bubbone». Tanto per far seguire alle parole - anzi alle occhiate gli
atti, Maroni, appena rientrato al Viminale, si è affrettato a dar corso al defenestramento di uno
dei migliori e più stimati alti funzionari pubblici, il prefetto di Roma, Carlo Mosca. Un gentiluomo
cortesissimo, quanto fermo nelle sue convinzioni democratiche, tanto da rifiutarsi di far prendere le
impronte digitali ai bambini rom, limitandosi alle foto, asserendo, per di più, che prima di
sgomberare i campi nomadi, bisogna trovare una soluzione per chi vi abita.
Chi, invece, sembra abbia capito l´aria che tira (peccato, Maroni, in fondo, ci era parso il più
intelligente e il meno oltranzista della compagine bossiana) è il prefetto Morcone, capo del
dipartimento emigrazione, che ha prontamente ottemperato all´invito del suo superiore (a meno che
non si tratti di un atto di anticipato ossequio) e ha cancellato il Protocollo in atto da sei anni con
"Medici senza frontiere" per il primo soccorso sanitario sul molo di Lampedusa. Qui, come
riportano quasi ogni giorno i telegiornali, vengono scaricati migliaia di disgraziati provenienti dalla
sponda africana, allorquando non sono affogati lungo il tragitto. Le notizie non emozionano più
nessuno, la coscienza pubblica, abituata a tutto, le recepisce con lo stesso grado di emotività degli
incidenti stradali, un naturale pegno pagato da chi si sposta incautamente. Figuriamoci, poi, se si
tratta di clandestini. Gli unici ancora a commuoversi e a far qualcosa sono i movimenti ecclesiali, i
gruppi del volontariato, i marinai delle motovedette e i pescatori che incrociano al largo i barconi in
difficoltà. Tra i volontari spiccava a Lampedusa il gruppo di sanitari con il piccolo ospedale mobile
che sul molo apprestava i primi soccorsi, soprattutto per ustioni d´estate, shock ipodermici nei mesi
freddi, fratture, malattie infettive, formulando le diagnosi d´urgenza per l´avvio al centro di
accoglienza, allertando l´elicottero per il trasporto negli ospedali siciliani nei casi urgenti.
 

Un´attività fattasi più impellente e gravosa nei primi dieci mesi di quest´anno con l´afflusso di ben
25.408 persone (di cui 1420 curate da "Medici senza frontiere"), per lo più provenienti dal Corno
d'Africa, dalla Somalia, dall´Eritrea per sfuggire a guerre e violenze più che per motivi economici.
Lo prova l´accresciuto numero di donne, molte anche incinta, particolarmente bisognose di
immediata assistenza. Ora sul molo non c´è più nessuno, anche se il prefetto Morcone, con una
sufficienza non confacente ad un pubblico funzionario, ha proclamato: «Possono trasferirsi in altre
parti d´Italia dove c´è più bisogno. Se vogliono rimanere a Lampedusa per i loro interessi lo
facciano pure, ma non capisco perché dovremmo rinnovare un protocollo che non ci serve.
Lampedusa non è un palcoscenico». Eppure, in primo luogo, è difficile immaginare un posto più
critico di Lampedusa fra tutte le zone di sbarco del nostro Paese. In secondo luogo Msf è
un'organizzazione volontaria privata che sceglie dove operare, dal Darfur al Congo, senza
intromissione dei governi. In terzo luogo il protocollo è stato necessario ed utilizzato per sei anni
per facilitare, garantire e formalizzare l´attività dei medici volontari sul molo, che è zona militare,
sottoposta a una serie di vincoli e competenze ben definite, il che impedisce di operare senza una
normativa stabilita e riconosciuta. In quarto luogo l´assistenza non costa un soldo allo Stato, poiché
Msf si sostenta per il 99% con fonti private. C´è allora da chiedersi se si è voluto il reimbarco dei
"Medici senza frontiere" per la nomea progressista dell´organizzazione; oppure per vendicarsi per le
critiche da questa mosse in passato ai Centri di permanenza temporanea; infine per far scoraggiare
gli «abbronzati» e far loro intendere che sarà sempre più disagevole approdare a Lampedusa. O per
tutti i motivi assieme.


Post scriptum: Msf opera in 63 paesi del mondo e nel 1999 ha ottenuto il Nobel per la Pace.


Maurizio Pirani       la Repubblica  17 novembre 2008