MARCELLO CINI E GIOVANNI FRANZONI: SOLO L’ETICA LAICA
PUÒ RISPONDERE ALLE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO
"Se salta la mediazione della coscienza individuale e si impone il ricatto della gerarchia è inevitabile arrivare allo scontro": a quasi due mesi di distanza dalle accesissime polemiche che hanno accompagnato l’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza, Marcello Cini – autore della prima lettera di protesta al rettore per l’invito di papa Ratzinger – torna sulle ragioni dell’opposizione sua e dei suoi colleghi alla lectio magistalis che avrebbe dovuto pronunciare Benedetto XVI. Lo fa in occasione di una "Lezione sulla laicità" organizzata lo scorso 29 febbraio a Roma dall’XI Municipio, cui ha partecipato anche Giovanni Franzoni della Comunità di San Paolo.
Le mie posizioni – ha precisato Cini nel corso del suo intervento – non sono affatto ispirate ad un sentimento anticlericale, come qualcuno ha affermato nel corso delle polemiche delle settimane scorse. "Io ho un grande rispetto per il sacro" e "ho vissuto con speranza quello straordinario processo di apertura intrapreso dalla Chiesa con il Concilio Vaticano II". Oggi però assistiamo ad un "ritorno al passato" di un papato che fa "l’esaltazione del sillabo di Pio IX"; di fronte a ciò sorge inevitabilmente il timore "che questa deriva si concretizzi in regole, atti legislativi ma soprattutto in un sentire diffuso che contribuisca a farci sentire tutti meno liberi".
Ma Cini ha respinto anche l’accusa di essere portatore di una cultura ‘scientista’, ovvero di una cultura che non si interroga sui limiti insiti nel paradigma scientifico stesso. "Il mio ambito di ricerca è stato profondamente interessato dal problema del rapporto tra scienza e contesto sociale". "Qualsiasi intervento su un sistema implica dei giudizi di valore", poiché è illusoria la pretesa coltivata da alcuni scienziati di un’"oggettività della conoscenza" completamente scissa dal contesto della ricerca. "Tutto ciò risulta evidente ancor più oggi con la centralità assunta dalle problematiche bioetiche" e con il pericolo di delegare al "meccanismo del mercato" la scelta tra vie alternative da seguire nelle decisioni collettive. Ma se la dimensione dei valori pone interrogativi fondamentali ai cittadini, ai politici e a tutte le agenzie morali che tentano di suggerire indicazioni a riguardo, "il papato non può rivendicare il monopolio nel discernimento fra bene e male". È questa pretesa di esclusività che complica e rischia di compromettere definitivamente il dialogo tra laici e cattolici, già messo a dura prova nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II.
Se Cini ha puntato il dito contro l’autoritarismo vaticano, Franzoni ha denunciato le debolezze e le responsabilità di coloro che si rifanno ad una cultura laica. "Dalla parte dei laici – ha dichiarato l’ex abate di San Paolo fuori le Mura – domina la rassegnazione. Si dice: ‘La Chiesa fa così, che possiamo fare?’. La Chiesa è vista come un monolite. Ed invece ci sono tante persone che si considerano pienamente cattoliche e che la pensano diversamente. Ma queste persone non sono cattoliche agli occhi dei laici". Nemmeno le altre confessioni cristiane, che pure potrebbero fornire un punto di vista alternativo a quello vaticano, sono prese in considerazione: "Quando parla, il papa conquista le prime pagine di tutti i giornali, anche di quelli laici. Ma quando sullo stesso argomento si pronuncia, ad esempio, Maria Bonafede [moderatora della tavola valdese, ndr] nemmeno un trafiletto!".
"La Chiesa cattolica sta perseguendo la strategia della Moral Majority" già tentata dagli evangelici americani; preso atto di essere diventata una minoranza quanto a fedeli e praticanti nella società, cerca di reagire presentandosi come "maggioranza morale": "È vero che questo è un mondo che invoca una maggiore sensibilità etica – ha affermato Franzoni accennando alle grandi emergenze planetarie della nostra epoca - ma perché tale sensibilità può essere fornita solo dalle religioni, con le loro credenze storicizzate e datate?". "Io rispetto la vita in tutte le sue forme – ha concluso Franzoni – e non capisco perché, ad esempio, l’uomo che va in guerra sia una ‘vita’ meno sacra di quella dell’embrione".
ADISTA Notizie n. 21 2008