Manifesto leghista sulla razza

Chissà se interesserà ai colleghi deputati e senatori del Pd che hanno benevolmente facilitato la
legge leghista sul “federalismo fiscale” sapere che il sindaco di Tradate (Varese) ha presentato il
primo esplicito testo leghista sulla razza, e lo ha fatto con un atto legale rigorosamente razzista
presentato alla Corte di Appello di Milano?
Attenzione ai fatti. Il sindaco di Tradate, Stefano Candiani, Lega Nord, non è peggiore degli altri.
Infatti il passaggio del “pacchetto sicurezza” autorizza i sindaci a estrose iniziative che negano la
Costituzione e lo Stato e danno la vera interpretazione al “federalismo fiscale” che ha come scopo
esclusivo eliminare gli italiani del Sud, insegnare il dialetto, tormentare gli immigrati e cacciare i
rom.
Ma, e il futuro? Chi pensa al futuro della gente bianca che, come sapete, nel Nord leghista non
è minacciata dalle vigorose infiltrazioni della ‘ndrangheta ma dalla presenza di immigrati che
lavorano tutti, producono tutti per l’economia italiana e le pensioni italiane; ma poi la brava gente
bianca e leghista della Padania vuole che non abitino, vuole che non preghino, vuole che non
facciano figli.

E così il sindaco Candiani di Tradate ha emesso l’editto sui bambini. Prescrive, nella
Repubblica italiana nata dalla Resistenza: “Il Comune elargirà 500 euro di premio per ogni bambino
nato. Ma solo se entrambi i genitori del bambino sono italiani”. Vuol dire: bianchi. L’editto eredita
lo spirito del “pacchetto di leggi per la difesa della razza” del 1939.

Contro l’editto di Tradate sono intervenuti cittadini e gruppi per denunciare l’evento incredibile. E’
intervenuto il Tribunale di Milano che ha dichiarato, in sentenza “Un evidente intento di
discriminazione”. Di solito, di fronte a rari atti di resistenza, i leghisti parlano di equivoco,
cambiano discorso. Non adesso. Cito dal documento leghista di ricorso in appello: “Il fine
perseguito non è nel modo più assoluto di garantire sostegno a un bisogno. Il fatto è che la
popolazione europea mostra un forte tasso di calo demografico. E’ del tutto ovvio che alla morte dei
popoli si accompagna la morte delle rispettive culture. Il bonus attiene al futuro della cultura
europea indissolubilmente legata ai popoli dell’Europa medesima”. Il dottor Goebbels e il Ku Klux
Klan
non avrebbero potuto dire meglio. La sfida alla Costituzione, ma anche a tutte le leggi e ai
trattati sottoscritti dall’Italia con il resto del mondo libero e civile, adesso è aperta.
Sarebbe bene
che lo sapessero e lo ricordassero i compagni, gli amici, gli astanti della Festa Pd di Torino che
rimpiangono ancora la mancata partecipazione di Cota, Maroni e Calderloli.


Furio Colombo    il Fatto Quotidiano  4 settembre 2010


 

 

Dietro la politica-spettacolo, bambini rom vittime di sfruttamento

Dopo diverse settimane di agitazione attorno ai rom rumeni e bulgari e l'accelerazione degli
smantellamenti dei campi e dei ritorni “volontari”, il ministero dell'interno [francese] pubblica una
statistica che dovrebbe giustificare le azioni condotte, dato l'aumento esponenziale della
delinquenza collegata ai cittadini rumeni nella regione parigina.
Tra le cifre presentate, il 49% degli atti di delinquenza sarebbero stati commessi da minori rumeni. I
dati presentati sono discutibili, perché riguardano contestazioni e non condanne (senza dubbio meno
numerose). Lo scopo è quello di dimostrare il disadattamento di queste popolazioni.

Contrariamente a quanto insinuato, lungi dall'essere un tratto culturale che si vorrebbe attribuire
all'insieme dei rom rumeni, l'aumento di minorenni delinquenti si spiega con la presenza dal 2009 di
un gruppo particolare, ben identificato. Questa rete, già conosciuta nel Regno Unito e in Spagna fin
dal 2003, specializzata in truffe ai distributori automatici di banconote, costringe dei minorenni a
commettere furti per suo conto. Questi ultimi sono spesso fermati e interrogati dalla polizia, ed è
questo il grosso delle contestazioni presentate dal ministero dell'interno.
L'incapacità ad arrestare i membri della rete, l'assenza di un dispositivo per la protezione dei minori
vittime di sfruttamento e la mancanza di mezzi destinati alla protezione giudiziaria dei giovani sono
le principali cause di questo fallimento. Fenomeni di sfruttamento di minori riguardano del resto
altre nazionalità e sono in aumento da due anni, e non si tratta di una caratteristica etnica specifica
dei rom. La lotta contro questi fenomeni richiede che si lavori maggiormente in collaborazione:
giustizia, polizia, protezione dell'infanzia, associazioni specializzate, paesi d'origine. Le iniziative in
questo senso hanno dato dei risultati. Speriamo che possano essere ulteriormente sviluppate.

La statistica presentata, che per la prima volta cita esplicitamente persone provenienti da uno
specifico paese, deve permettere l'accettazione di un accordo bilaterale tra la Francia e la Romania
che il Parlamento ratificherà in ottobre. Tale accordo, se fosse votato, permetterebbe di rinviare dei
minori isolati, senza una vera indagine sociale nel paese d'origine e senza passaggio davanti al
giudice per i minori. L'obiettivo espresso è la lotta contro la delinquenza e non invece l'interesse
superiore del bambino, che dovrebbe essere al primo posto.

Quanto all'efficacia di tale misura, ricordiamo che nel 2002, quando dei minorenni rumeni (non
appartenenti alla comunità rom) erano stati usati per rubare le monete dai distributori automatici di
biglietti per parcheggi, il loro rinvio nel quadro di precedenti accordi firmati con la Romania su
iniziativa del ministro dell'interno dell'epoca, Nicolas Sarkozy, aveva avuto effetti molto limitati.
Una quarantina di rinvii in tre anni, senza una vera integrazione in Romania, e talvolta bambini
recuperati da reti malavitose e sfruttati in altri paesi europei.

Eppure esistono altre soluzioni. La maggior parte dei bambini usati per raccogliere denaro sono
riusciti ad imparare un mestiere in Francia. Uno studio del Centro di ricerca per lo studio e
l'osservazione delle condizioni di vita (Credoc), riguardante 100 giovani rumeni di quell'epoca
passati attraverso i servizi sociali per l'infanzia di Parigi, ha mostrato che il 97% di loro ha potuto
frequentare un intero anno scolastico o ottenere un diploma.
Lasciamo l'ambito dei bambini in situazione di sfruttamento per tornare ai minorenni rom che
vivono nei campi nomadi in Francia, obiettivi delle azioni spettacolari di queste ultime settimane. I
bambini sono stati spesso le prime vittime di queste operazioni. La paura dell'espulsione ha indotto
molte famiglie con bambini di pochi anni, le cui condizioni di vita erano già difficili, a lasciare il
loro campo, per nascondersi in luoghi insalubri (tunnel, edifici in demolizione...).

Bambini che frequentavano la scuola da diversi anni rischiano di abbandonarla in seguito al loro
allontanamento geografico da parte delle forze dell'ordine. Nella maggior parte dei casi, la
distruzione del loro alloggio di fortuna da parte dei bulldozer avviene davanti ai loro occhi. Se
questa politica, i cui principali risultati sono la mancata scolarizzazione e la messa in pericolo dei
minori deve cessare al più presto, che cosa si può fare?
Per superare l'idea che i rom dei paesi dell'est, malgrado il loro numero ristretto, stimato attorno ai
15000, siano incapaci di integrarsi in Francia, è interessante ripensare alla migrazione jugoslava, più
vecchia di quella degli altri paesi dell'est e quindi più adatta a mostrare le differenti tappe del processo migratorio.

È cominciata alla fine degli anni '60 e si è in gran parte “normalizzata”. Ciò
non ha impedito l'apparizione di gruppi con attività illegali.
Nonostante tutto, la maggioranza dei migranti rom dell'ex Jugoslavia ha saputo integrarsi in Francia
al punto da essere diventata “invisibile” all'opinione pubblica. Le difficoltà che i rom rumeni e
bulgari incontrano non sono dovute alla “cultura rom” che li condannerebbe alla marginalità, ma
alle difficoltà di inserimento sul mercato del lavoro.
Permettere ai bambini rom che vivono da noi di essere scolarizzati, di accedere alla formazione, in
particolare a quella professionale, e poi al lavoro, resta la sola via per permettere un'integrazione di
queste famiglie rom, il cui numero, bisogna ricordarlo, è stabile da diversi anni e rappresenta meno
dell'1% dei rom di Romania.

Nella pratica, sembra che venga privilegiata la strada opposta, poiché, secondo lo studio del
collettivo Romeurope, solo il 10% dei bambini rom che vivono in Francia e in età di obbligo
scolastico sono scolarizzati. Una delle ragioni è il rifiuto di molti comuni, di qualsiasi colore
politico, di iscriverli a scuola per paura che vengano allestiti dei campi nomadi.
Seguire una
formazione professionale è quasi impossibile senza che i ragazzi siano presi in carico dai servizi
sociali per l'infanzia. Allo stesso modo, l'accesso al lavoro è limitato e complesso a causa delle
misure transitorie per i rumeni e i bulgari.
Infine, tali disposizione restrittive, che la Francia ha già fatto sapere di voler prolungare fino al loro
termine (31 dicembre 2013) e l'accelerazione delle distruzioni di campi, privano i bambini rom di
accesso all'istruzione, quindi di integrazione. A poco a poco, si conformano ai cliché imposti loro
dalla società maggioritaria: poveri, non istruiti, e condannati a vivere ai margini della nostra società
civilizzata.

Olivier Peyroux, vicedirettore dell'associazione Hors la rue     in “Le Monde” del 3 settembre 2010