Manifesto laico
In libreria l'ultimo lavoro di Stefano Rodotà. Un «manuale» per ricostruire la cittadinanza

Non accade spesso che un libro riesca a cogliere nel segno dell'attualità, senza ridursi a un istant-book. E a coniugare saperi costruiti in anni e anni con l'intervento sul presente.
È questo il caso dell'ultimo lavoro di Stefano Rodotà, Perché laico (Laterza, pp.190, 15 euro), che è arrivato nelle librerie proprio nel pieno del riproporsi di un antico conflitto tra stato e Chiesa, culminato nella vicenda di Eluana Englaro, un dramma umano che il governo Berlusconi ha voluto usare per portare un altro colpo alla nostra Costituzione. E mentre lo stesso governo - e la sua maggioranza - si propongono di chiudere il capitolo del testamento biologico con una legge che preclude ogni diritto e ogni libertà. In nome di un «diritto superiore», quello del potere politico.
Perché laico è, già dal titolo, una dichiarazione d'intenti, non una professione di fede. È la denuncia di un rapporto irrisolto tra stato e Chiesa in Italia, fin da quel Concordato riproposto nel dopoguerra (con la mediazione operata nell'articolo 7 della Costituzione) e riaggiornato da Bettino Craxi (nel 1985), che ha finito col subordinare alle opportunità politiche i diritti delle persone. In una «laicità negoziabile» che Rodotà denuncia come vulnus alla stessa democrazia. Quella più profonda, per cui i cittadini trovano nelle leggi un contorno di regole comuni in cui poter esercitare le loro libere scelte.
È da lì che Rodotà parte per sostenere la propria tesi secondo cui democrazia e laicità sono un tutt'uno, in nome di quell'antico universalismo sempre mal sopportato dagli integralismi e oggi cancellato da una politica che riduce i diritti a interessi personali. Generando un arbitrio in cui le diversità contano per la forza che possono mettere in campo e non in quanto elementi conviventi che nel confronto loro permesso si arricchiscono reciprocamente. Infatti - spiega Rodotà - è assai diverso «guardare alla molteplicità, alla diversità, al multiculturalismo come se questo significasse identità necessariamente separate o, invece, riconoscere il diritto alla diversità in un quadro di riferimenti universali e comuni». Perché - prosegue - «il grande risultato del pensiero laico è non aver chiuso nessuno nel ghetto delle identità».
Considerazioni da sempre proprie del pensiero democratico, ma che diventano oggi essenziali, nel momento in cui una politica sempre più in crisi di rappresentanza - e per questo tendenzialmente autoritaria - offre alla Chiesa cattolica la possibilità di colmare il vuoto di un diritto in estrema difficoltà di fronte ai progressi della tecnologia sul terreno fondamentale della «nuda vita». Da questo punto di vista i casi Englaro o Welby e lo scontro sulla procreazione assistita appaiono in tutta la loro enormità: vita e morte diventano l'incerto terreno di scontro tra poteri istituzionali, l'assurdo luogo di contrattazione tra equilibri politici, mentre i soggetti direttamente interessati non possono contare né su un diritto certo, né su una cultura comune che permettano loro di essere ascoltati, compresi e, infine, poter scegliere liberamente.
Appare perciò evidente come sia urgente un ricostruzione della cittadinanza che ha bisogno di due supporti fondamentali: una politica che stabilisca confini chiari ma non invasivi delle libertà individuali - qui il riferimento alla difesa dei principi fondanti della Costituzione e al suo spirito laico - e una crescita culturale della comunità di riferimento, in primis attraverso i suoi luoghi di comunicazione e formazione, dai media alla scuola.
E, detto per inciso, Perché laico, sarebbe un ottimo libro di testo per le scuole medie superiori (ammesso che si concepisca ancora la scuola in quanto luogo di formazione libera e non di dissipazione coatta, come fanno intendere le riforme del ministro Gelmini). Proprio perché ripone le questioni di attualità in un contesto comprensibile e le misura con i nodi irrisolti della storia politica italiana, della vita pubblica che si confronta con quella privata.
In tempi di profonda crisi del senso stesso dell'agire pubblico, di collasso delle rappresentanza, mentre si sfaldano le certezze delle appartenenze e si dissolvono i partiti leggeri nati su queste crisi (usandole come alibi per non affrontare il merito di quelle crisi), la ricerca di un'etica democratica e civile appare come essenziale contributo per ridare un senso alla parola democrazia e, più nel profondo, per salvare «la ragione» contro il prevalere delle pulsioni intestine che finiscono per misurarsi solo sul terreno della forza. In un kantiano dover essere che qualcuno dovrà pur ascoltare.

 

Gabriele Polo  Il manifesto 20/2/2008