Manifestare
l’indignazione è un dovere
«È meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo», disse a
Verona nel 2006 il
cardinale Tettamanzi. La frase ebbe l’effetto di una bomba. Eppure è verità
antica, ben presente
nella Scrittura e nei Padri della Chiesa. A un importante vescovo italiano un
giornalista chiese «ma
voi vescovi vi fidate di più dei politici che promettono leggi favorevoli alla
Chiesa e alla famiglia
oppure di quelli che sono cattolici coerenti e hanno una vita familiare
esemplare?». Imbarazzato, il
vescovo dichiarò che lui valutava i partiti e i politici secondo il loro
programma, non secondo la vita
privata. Da millenni esistono i sepolcri imbiancati e talora hanno avuto
trattamenti di favore presso i
moralisti e gli ecclesiastici: forse con l’intenzione di convertirli, forse per
poterli perdonare «a certe
condizioni».
Anche Ernesto Galli della Loggia ripete sul Corriere della Sera (13 luglio), con
parole laiche, il
ragionamento: che in politica il moralismo è un pericolo perché manifesta un
fanatismo ideologico.
C’è forse una verità in questa preoccupazione. È vero che si può fare un uso
strumentale del
moralismo; è vero che le minoranze che presumono di incarnare la purezza
diventano spesso
intolleranti e settarie; è vero che una visione astratta e irrealistica della
politica, dei suoi mezzi e dei
suoi fini, porta spesso lontano dal bene comune concretamente possibile. Ma
sorprende che di
fronte a una diffusa immoralità pubblica e privata, invece di indignarsi e
correggere si preferisca
prendersela coi “moralisti” e con i giudici. Con quelli che cercano di essere
coerenti, di resistere e
di contrastare comportamenti illegali e immorali.
Ancora più sorprendente è un articolo del Corriere (15 luglio), al quale
Federico Orlando ha già
dedicato un eccellente commento (Europa, 16 luglio). Prendendo lo spunto dalle
indagini su Del
Turco, Panebianco critica Veltroni per aver confermato, «un po’ ritualmente, la
sua fiducia nella
magistratura» anziché «dare una svolta decisa alla politica della giustizia del
Pd». Insomma, la
colpa è dei giudici, il pericolo sono i cittadini onesti e rigorosi, troppo
“moralisti”.
Che questi ultimi siano maggioranza o minoranza non sappiamo.
Certo gli onesti sono più di quanto appaia perché ci sono tanti che si
comportano correttamente ogni
giorno, in silenzio. Ma anche i corrotti (corruttori, corrompibili…) sono
molti e sembrano diventare
un regime: manifestare la propria indignazione diventa un dovere civile. Per
indicare ai giovani, coi
fatti e con le parole, che una strada diversa è possibile. Anche così si
affronta l’emergenza
educativa.
Angelo Bertani in "Europa"
18 luglio 2008