Ma Parigi vale ancora una messa?

Oggi la lezione di Ratzinger alla laicissima Francia

«Herr Professor»: così il vaticanista di Le Monde Henri Tincq saluta Benedetto XVI, annunciando la visita pontificale in Francia che comincia oggi. Parigi è la città dei Lumi, qui nacque il culto della dea Ragione nel ’700 e poco più di un secolo dopo - quando i suoi scrittori si divisero sull’antisemitismo che aveva colpito il capitano Dreyfus - il culto dell’intellettuale impegnato nella cosa pubblica. Qui l’intellettuale sogna di divenire non solo pensatore ma profeta, il cui verbo espugna le menti. Qui nasce la figura del maître-à-penser - del maestro che insegna a pensar bene - e anche la critica del maître-à-penser. Il titolo Herr Professor indica dunque compiacimento se non complicità, accoglienza disponibile, anche fascino. Il commento di Le Monde è significativo e conferma che la classe intellettuale francese non ha speciali riserve verso questo Papa, e non condivide l’allarme italiano o spagnolo. I fedeli sono un po’ più inquieti ma gli intellettuali paiono sedotti dal Santo Padre: non senza averlo prima ridotto a Professore tuttavia, a intellectuel non meno profetico e non più profetico di altri. Questo colpisce, nel modo in cui ci si predispone alla visita: non sono assenti le obiezioni ma quel che domina è una singolare imperturbabilità, una quiete benevola non lontanissima dal benign neglect. Le porte si aprono a un Santo Padre ribattezzato prudenzialmente Signor Professore.

In questa qualità di Herr Professor il Pontefice è scrutato, da tempo. Perfino intellettuali non cattolici ne sono ammaliati. Tra loro André Glucksmann, che in passato scrisse addirittura un libro sulla Terza Morte di Dio (Fondazione Liberal 2004). Il 14 luglio 2007, sul Corriere della Sera, il filosofo ha difeso con forza Benedetto XVI, riconoscendosi nel suo discorso di Ratisbona. Sia Glucksmann sia Tincq ne sono persuasi: attaccando la violenza nell’Islam, questo Papa ha mostrato di essere contro l’asservimento della religione alla ragion di Stato, ma anche contro l’asservimento della ragion di Stato alla religione. Il Papa discuterà proprio questi temi, nell’incontro con 700 intellettuali organizzato per domani al Collegio dei Bernardins. Parlerà di crisi delle fede in una cultura secolarizzata e di nichilismo: un tema che attrae particolarmente il pensiero francese. Giovanni Paolo II non venne accolto con la stessa tranquilla apertura: forse perché era profeta, più che philosophe.

Questa imperturbabilità ha una precisa radice, non necessariamente rassicurante per la Chiesa. Mancano in Francia gli allarmi italiani o spagnoli perché la laicità non è in sostanza rimessa in questione, anche se Sarkozy a parole lo fa. Non c’è ingerenza dei vescovi nella legislazione, e le televisioni non interpellano ogni giorno un prelato: non l’interpellano praticamente mai. L’arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois è quasi sconosciuto dai giornali e il suo predecessore Lustiger appariva di più perché era, guarda caso, un grande intellettuale. Nelle sue analisi, Tincq ricorda quel che ha ascoltato in Vaticano: la Chiesa francese è «in macerie», «sull’orlo del tracollo». Finita l’era Lustiger il declino è vistoso, e monsignor Vingt-Trois ha scialbe parole per dirlo e resistergli. In un’intervista a Le Monde del 7 settembre ha fatto propria l’odierna aspirazione del Vaticano, affermando che «le religioni devono avere tutto il loro spazio nella vita pubblica». Ma ha parlato di religioni al plurale, non di una sola, e per il resto è apparso intimidito, traballante: la chiesa in Francia «non è sull’orlo del tracollo ma in mutazione» e però «non conosciamo i dettagli del cammino che sappiamo di dover imboccare»; la laicità non è più un tabù grazie a Sarkozy, ma la proibizione d’ogni riferimento religioso nello spazio pubblico non è revocata né contestata. Quando cerca l’identità la Francia non può ignorare le radici cristiane ma in fondo si riconosce più in Enrico IV che in re Clodoveo, battezzato nel quinto secolo con tutti i Franchi. Il bene della pólis vale più d’una messa, e certo più del suo inaugurale battesimo collettivo.

Sarkozy ha sbalestrato alcune sicurezze laiche, da quando è Presidente, ma non le ha infrante. Hanno colpito i molteplici suoi accenni alla religione in politica, e a una laicità positiva che automaticamente presuppone l’esistere di una laicità negativa. A San Giovanni in Laterano, nel dicembre 2007, sorprese il paese quando disse che «la morale laica rischia sempre di sfiancarsi quando non s’appoggia a una speranza che appaga l’aspirazione all’infinito». E quando aggiunse, soprattutto: «Nella trasmissione dei valori e nell’apprendimento della differenza fra bene e male, l’istitutore non potrà mai rimpiazzare il curato o il pastore, perché sempre gli mancherà la radicalità del sacrificio della vita e il carisma di un impegno trascinato dalla speranza».

Queste e altre frasi non significano tuttavia abbandono della laicità. Rivelano un certo disprezzo presidenziale verso professioni venerabili in Francia, come quella degli insegnanti (forse è questo il vero tabù infranto, più della laicità); non l’accettazione di ingerenze episcopali o vaticane. Sarkozy è un politico singolare, che ha precostituito un suo potere forte rompendo con consuetudini, linguaggi, forme, poteri che sembravano solidi. Carla Sarkozy che arriva all’aeroporto di Ben Gurion in Israele con una croce al collo non è solo un vezzo. È un gesto politico che complica l’identità francese - a cominciare dal Medio Oriente - instaurando anche qui un’immagine diversa del potere e della nazione .

Nella passione di Sarkozy per i temi religiosi c’è infine qualcosa di personale, di natura più estetica che spirituale o etica. Qualcosa come un sottile libertinismo, esistenziale e politico. Una parola ricorre, nei suoi discorsi e nei suoi scritti: la parola dépassement de soi, superamento di sé. Il dépassement è quello che più affascina Sarkozy. Dépassement d’ogni tipo: religioso e non religioso, vissuto guardando alla trascendenza e all’immanenza.

Barbara Spinelli        La Stampa 12/09/08