Ma l'amore non è soltanto un sentimento

Tra le nostre parole essenziali, la più compromessa è «amore».
Eppure essa va ripresa come uno specchio che rimanda non l’immagine di sé, bensì quella della
disumanità degli individui ridotti a sopravvivere senza nulla di amorevole. Più una realtà è preziosa
e più le parole per esprimerla sono fragili.
Un figlio della cultura dell’Occidente, di solito, non
crede all’amore in quanto principio e luce della vita intera. Lo riduce a un’emozione rapida, o a un
sentimento privato e irrazionale. Se il valore dell’amore non è riconosciuto oltre questi confini, gli
uomini si mettono a onorare poteri e valori ritenuti più alti: se stessi, o qualunque tipo di autorità.
Anche Dio diventa credibile non per la sua natura amorevole o per la sua misericordia, ma perché
viene immaginato come un essere di indistinta onnipotenza, la cui giustizia è capace di infliggere
terribili castighi.
Queste entità o presunti valori non salvano, né ci fanno respirare, non consolano né
liberano. Se diventano idoli, disarticolano l’umano in noi e tra noi.
L’amore è l’unica forza che crea e salva i legami interpersonali e, nel contempo, la forza che
effettivamente porta a compimento la libertà umana.
Mentre senza gli altri, l’individuo non è che un disgraziato. Lo psichiatra Luigi Zoja ha osservato
che ormai all’annuncio della «morte di Dio» deve seguire quello della «morte del prossimo», nel
senso che nella mentalità corrente l’altro è un’esistenza remota o nulla, non una presenza viva.

Ricorre allora l’amara esperienza per cui solo la morte renda davvero vivo, per chi resta, chi non c’è
più. L’amore non è solo un’emozione o un sentimento. È il nostro elemento vitale. Scrive Martin
Buber: «I sentimenti dimorano nell’uomo, ma l’uomo dimora nel suo amore». È insieme casa e
strada, radicamento e trascendenza. Ed è l’energia più fedele alla vita, l’unica che possa
trasfigurarla sino alla sua pienezza. L’amare implica gesti che lo esprimano senza risolversi. La sua
energia si attua nel dare una forma all’esistenza. Se non si dispiega quest’apertura massima della
forza di amare, si può solo galleggiare nella vita, con l’angoscia del naufrago, e si resta sconcertati,
spaventati, risentiti. Le sofferenze maggiori che dobbiamo patire provengono dall’amore mancato o
sbagliato.
In questi casi perdiamo anzitutto la lucida visione delle cose. Se l’amore deve dilatare e
guidare i passi quotidiani di ciascuno, chi guiderà il nostro amore? Esso può essere accecato e
distruttivo, geloso e avaro.
La svolta si schiude imparando che – oltre a essere un’emozione, un sentimento, un bisogno, un
desiderio e un’energia radicale – l’amore è la vocazione dell’esistenza umana, un invito rivolto a
ciascuno, la forza d’attrazione che ci spinge a uscire da noi stessi per trasformare la vita in un
cammino.
L’amore, d’altra parte, è anche ed essenzialmente la fonte misteriosa e viva di questo
invito. Da qui assumono ben altra luce le emozioni, i sentimenti, i desideri. Il tratto più specifico
della nostra umanità non è neppure già dato, è in divenire e sta nell’imparare ad amare in modo
creativo, paziente, fedele, generoso.
In un film di Wim Wenders c’è un personaggio che dice:
«L’amore non potrà mai essere descritto alla maniera del cielo o del mare o di un altro qualsiasi
mistero. È l’occhio col quale vediamo, è il trasgressore nel santo, è la luce all’interno del colore».
L’amore, propriamente, è il senso della realtà. Ecco perché a uomini persi a se stessi esso sembra la
cosa meno reale.

Roberto Mancini      Avvenire  21 aprile 2009