Ma chi ha impedito al Papa di parlare?
Il pressante invito rivolto ai fedeli e ai
romani dal cardinal Ruini perché si stringessero attorno a Benedetto XVI ha
suscitato ieri in piazza San Pietro un’adesione tanto massiccia quanto
prevedibile. La Chiesa ha scelto la prova di forza. Dimenticando - non è una
novità - che la forza non crea il diritto. Lo sapeva già Blaise Pascal,
cattolico fervente ma nemico dei soprusi ecclesiastici, quando faceva dire a un
prelato a corto di argomenti: «La spunteremo comunque noi, perché siamo più
numerosi».
Il punto, quindi, torna ad essere: era legittimo, oltre che sensato, che un
Pontefice inaugurasse l’anno accademico di un’università pubblica italiana?
Quanto è successo in questi giorni alla Sapienza, e il conseguente corredo di
reazioni mediatiche, sarebbe grottesco e inimmaginabile in qualsiasi Paese
civile del mondo. Con rarissime eccezioni, su tutti i quotidiani e telegiornali
nazionali, si è detto, da destra e da sinistra, che una minoranza intollerante
di professori e di studenti della Sapienza avrebbe «impedito al Papa di prendere
la parola». Ciò che è accaduto - e che malgrado le numerose precisazioni si
continua a far finta di non capire - è molto diverso.
Alcuni membri del corpo accademico (ai quali in questi giorni è stata espressa
solidarietà da circa 700 altri docenti della Sapienza, fra cui chi scrive) e un
gruppo di studenti hanno, separatamente, considerato improprio che il Rettore
invitasse il Pontefice ad inaugurare l’anno accademico tenendo in tale
occasione, come si era progettato in un primo tempo, la lectio magistralis.
Perché appariva ed appare incongruo e lesivo dell’autonomia dell’Università -
un’istituzione aconfessionale per eccellenza in cui diverse posizioni
filosofiche, etiche e religiose si incontrano e scontrano quotidianamente - che
un momento altamente simbolico della sua attività fosse segnato dall’intervento
di un’altissima autorità religiosa che afferma se stessa come depositaria della
Verità (rivelata e assoluta, naturalmente), e che continuamente indica nel
relativismo il male che corrode il mondo moderno. Ora, ciò che definisce il
carattere più intrinseco di una comunità scientifica qual è l’Università è la
costruzione di nuove conoscenze, più ampie e dettagliate di quelle già
possedute, o di nuovi punti di vista che diano nuovi significati alle precedenti
acquisizioni. Si procede attraverso il faticoso raggiungimento di verità
relative, destinate ad essere superate, corrette o negate grazie a nuove
scoperte, verifiche o interpretazioni che revocano in dubbio ciò che sembrava
irrevocabilmente vero.
Per antica abitudine, gli studiosi diffidano delle auctoritates e di qualsiasi
imprimatur esterni. Ma se davvero si tenesse al “dialogo” di cui si è lamentata
la mancanza, e il Pontefice accettasse - in un’occasione diversa
dall’inaugurazione dell’anno accademico - di confrontarsi in un pubblico
dibattito su ragione e fede con filosofi, matematici, fisici, storici, o con
eminenti rappresentanti del mondo protestante, ebraico ed islamico (o di altre
fedi), questo scambio sarebbe di altissimo interesse conoscitivo, e non credo di
sbagliare dicendo che questi ipotetici incontri sarebbero accolti con il più
vivo interesse, dal corpo docente tutto e dagli studenti. Ma un’ipotesi del
genere è davvero immaginabile? E comunque: alla fine, è stato Benedetto XVI,
abituato ad un pubblico di giovani festanti, a rinunciare alla sua visita alla
Sapienza. Forse un segno di scarsa accettazione del dissenso. E’ stata comunque
una sua decisione che non può farsi ricadere in alcun modo sulle spalle di
quanti hanno mostrato di pensarla diversamente. Se una lettera di professori, e
alcuni striscioni di studenti, sono stati equiparati a una manifestazione di
intolleranza tesa ad impedire l’arrivo del Papa, allora vuol dire, puramente e
semplicemente, che le opinioni di chi non si riconosce nelle parole del
Pontefice sono davvero mal tollerate, e che l’integralismo e il temporalismo
della Chiesa sono diventati soffocanti. Come si vede, l’esatto contrario di
quanto si afferma con sostanziale unanimismo su quasi tutti i mezzi di
informazione.
Un’ultima considerazione. Mercoledì sera, durante la trasmissione televisiva
Porta a porta, abbiamo ascoltato, increduli, un influente Monsignore adottare
toni a metà tra il dannunziano e l’intimidatorio per definire «vecchie
cariatidi» gli insigni fisici firmatari della lettera incriminata. Sono docenti
e scienziati, merita ricordarlo, che onorano l’università italiana nel mondo. E’
con questo stile che la Chiesa pensa di ristabilire un dialogo? Speriamo di no,
anche perché le intimidazioni hanno successo solo con chi si lascia intimidire.
Silvia Berti Il Riformista
21/01/2008
Facoltà di Scienze Umanistiche - La Sapienza