Il lungo peccato di omissione di Pio XII

A proposito dell'atteggiamento di Pio XII durante la guerra, di fronte alla Shoah che avveniva quasi
sotto i suoi occhi (e quelli delle potenze alleate) nel cuore della vecchia Europa cristiana, gli storici
si scontrano. Non sono ancora accessibili tutti i documenti. E' urgente che lo divengano. Ciò a cui la
Santa Sede non si oppone, per quanto se ne sa, invocando semplicemente la necessità di una
“proroga tecnica”, per “la classificazione e il riordino di una massa enorme di documenti”, secondo
le dichiarazioni di Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, il 23 dicembre.
Sembrerebbe naturale e intellettualmente onesto che il processo di canonizzazione non proceda più
velocemente della completa apertura degli archivi.

La prudenza molto diplomatica di Pio XII permise di salvare un maggior numero di ebrei di quanto
non avrebbero fatto interventi diretti? Le testimonianze non mancano, anche da parte ebraica, che
attestano gesti numerosi e puntuali. Del resto, una cosa è sicura: nessuna compiacenza ideologica
con il paganesimo nazista può essere imputata al Santo Padre. Ricordiamo solo, tra altre parole, il
messaggio di Natale del 1942 che evoca le “centinaia di migliaia di persone, che, senza alcuna loro
colpa e talvolta unicamente per ragioni di nazionalità o di razza, sono destinate alla morte o a una
progressiva estinzione”.

Ugualmente, sei mesi più tardi, davanti al collegio dei cardinali, parla di “suppliche angosciate di
tutti coloro che, a causa della loro nazionalità o della loro razza, sono talvolta soggetti, senza
alcuna loro colpa, a misure di sterminio”. Ma aggiunge (siamo nel giugno del 1943): “ Ogni nostra
parola, ogni allusione pubblica dovrebbe essere seriamente pesata e misurata, nell'interesse stesso
di coloro che soffrono, per non rendere la loro situazione ancora più grave e insopportabile”.
Queste indicazioni, che suonano così male alle nostre orecchie introducono direttamente all'altro
aspetto della questione.

Per rispondervi, lascerò la parola ad un uomo ben poco sospettabile anche della pur minima
inimicizia nei confronti del papato o di spirito polemico nei confronti di fatti e gesti del magistero
romano. Paul Claudel, il 13 dicembre 1945, scriveva a Jacques Maritain, allora ambasciatore di
Francia presso la Santa Sede – questo documento e i suoi commenti furono pubblicati dai “Cahiers
Jacques Maritain, n° 52, 2006. “Penso spesso a lei e alla sua missione così importante e difficile
che svolge presso sua Santità. Nulla attualmente impedisce alla voce del papa di farsi ascoltare. Mi
sembra che gli orrori innominabili e senza precedenti nella Storia commessi dalla Germania
nazista avrebbero meritato una protesta solenne del vicario di Cristo. Sembra che una qualunque
cerimonia di espiazione, da rinnovarsi annualmente, sarebbe stata una soddisfazione data alla
coscienza pubblica... Abbiamo ben cercato di porgere l'orecchio, abbiamo ascoltato solo deboli e
vaghi gemiti.”


Poi, facendo riferimento all'Apocalisse, parla del sangue dei “6 milioni - di ebrei – massacrati” e
conclude con queste parole: “E' questo sangue nell'orribile silenzio del Vaticano che soffoca tutti i
cristiani. La voce di Abele non finirà per farsi ascoltare?
” Si può immaginare una più chiara presa
di posizione?

Jacques Maritain, la cui riflessione sull'antisemitismo si è approfondita nel corso degli anni 30, era
lui stesso intervenuto, fin dal 1942, per ottenere da Pio XII una enciclica “che desse sollievo a
molte anime angosciate e scandalizzate”. Aveva anche proposto, lo stesso anno, di fare dello Yom
Kippur
un giorno di preghiera per i cristiani a favore degli ebrei perseguitati. Si sa che tutti questi
passi rimasero lettera morta.

E' di questo lungo, inquietante e doloroso silenzio che è diventato urgente parlare. Non per
interpretarlo alla sola luce della polemica anticristiana. Non per concluderne che era di
approvazione o di complicità tacita: tutto prova esattamente il contrario.
Come è diventato abituale, si sospetta il papa attuale delle peggiori intenzioni – senza mai precisare
quali – quando supera una tappa nel lento processo che potrebbe condurre alla beatificazione di Pio
XII. Gli si rifiuta il credito di un pensiero e di un'azione che si elevino al di sopra dei calcoli e che
restino senza colpo ferire nella propria sfera: religiosa, spirituale.

Le parole così forti di Claudel e di Maritain non ci impegnano sulla via di un processo alle
intenzioni il cui atto d'accusa sarebbe stato scritto in precedenza. In compenso, esse giudicano e
condannano senza alcuna ambiguità, con una forza che supera ogni polemica, il silenzio colpevole –
e non la colpevolezza silenziosa – di Pio XII.
Con questo, essi interrogano con piena
consapevolezza la reale eroicità delle virtù del pontefice.

Il peccato di omissione è l'ultimo che il fedele cattolico confessa nell'atto di contrizione. Ma non è il
meno grave. Tutto ciò che avrei potuto fare e dire, che io non ho fatto e detto, rinviandolo a più
tardi, per sempre, il bene che mi è comandato di amare e di servire. Di non tradire. Omettere il bene,
sottrarsi a questo servizio, apre lo spazio immenso e scuro di una mancanza maggiore. Uno spazio
che non può essere occultato per motivi contingenti, per scuse ingannevoli. Uno spazio che non è
estraneo a nessuno, nemmeno al papa.

 

Patrick Kéchichian      Le Monde  30 dicembre 2009