L´oggetto del desiderio della nuova demagogia

"Il popolo" è tra le categorie politiche quella forse più ambigua e più abusata, al punto di essere ora
adottata addirittura per designare un partito, come se "la parte" e "il tutto" si identificassero; anzi,
come se "la parte" si proponesse identica al tutto. L´origine del termine "popolo" è latina e nella
tradizione romana repubblicana aveva un significato di opposizione/distinzione rispetto a una parte
di popolazione che non era popolo: l´aristocrazia o il patriziato
. Per questa sua connotazione non
socialmente unitaria, dovendo decidere la denominazione della nuova assemblea convocata all
´indomani della presa della Bastiglia, nel 1789, i costituenti francesi preferirono l´aggettivo
"nazionale" a "popolare".
L´incorporazione del "popolo" nella concezione moderna della sovranità statuale e poi la sua
identificazione con la nazione vennero perfezionate nel corso dell´Ottocento. Nel 1835 Giuseppe
Mazzini lo definì "l´unica forza rivoluzionaria" esistente anche se "mai scesa nell´arena" politica,
fino ad allora il luogo esclusivo della "casta" aristocratica e militare. Popolo venne a identificarsi
con volontà collettiva e quindi con la sorgente del consenso fondamentale senza il quale nessun
governo poteva dirsi legittimo.

Ma è proprio nella natura singolare del nome che sta il problema. Nelle principali lingue europee ad
eccezione della lingua inglese, i termini Popolo, Peuple, Volk designano un´entità organica, un tutto
unico la cui volontà è una ed è legge. Lo stesso Jean-Jacques Rossueau, al quale ingiustamente è
stata attribuita la paternità teorica della democrazia totalitaria, aveva anticipato i rischi di
plebiscitarismo quando, descrivendo l´assemblea popolare come unico legittimo sovrano, aveva
precisato con molto acume che i cittadini vi si recano individualmente, e poi, una volta riuniti in
assemblea, danno il loro voto in silenzio, ragionando ciascuno con la propria testa e senza
consentire a nessun oratore di manipolare i loro consenso.
Le adunate oceaniche di memoria fascista e nazista sono state una negazione della volontà popolare
democratica alla quale pensava Rousseau e che è così ben definita nella nostra costituzione. Quelle
adunate di popolo, che ricalcavano il modello dell´antica Sparta dove le assemblee si concludevano
urlando il "sì" o il "no" alla proposta del consiglio, non erano per nulla un segno di democrazia.
In
Atene, alla quale dobbiamo la nostra visione della democrazia, i cittadini si recavano all´assemblea
e votavano individualmente, con voto segreto, e infine contavano i voti uno per uno, non fidandosi
dell´impressione acustica provocata dall´urlo come a Sparta.
Il modo di raccogliere il consenso e la
procedura di computa dei voti sono stati da allora i due caratteri cruciali che hanno dato
democraticità alla categoria ambigua di popolo; che hanno anzi consentito di togliere l´ambiguità ed
evitare l´abuso. È chiaro infatti che se il termine "popolo" è singolare, sono le regole che si
premuniscono di renderlo plurale. Il popolo dei populisti, quello per intenderci della concezione
fascista e plebiscitaria, non è lo stesso del popolo democratico: ne è anzi la sua degenerazione e
negazione. È ancora a un autore classico che ci si deve affidare per comprendere questa distinzione
cruciale.
Nella Politica Aristotele distingue tra varie forme di democrazia, procedendo da quella meno
pessima o sufficientemente buona a quella assolutamente pessima: la migliore è quella nella quale
le funzioni del popolo di votare in assemblea sono affiancate da quelle di magistrati eletti; la
peggiore è quella demagogica, un´unità nella quale la voce del demagogo diventa la voce del
popolo e il pluralismo delle idee si assottiglia pericolosamente.
Nel Novecento, Carl Schmitt ha
dato voce a questa visione di democrazia plebiscitaria o cesaristica integrandola con una critica
radicale del Parlamento: perché perdere tempo a discutere se ci si può valere di un leader che sa
quel che il popolo vuole visto che la sua volontà è una sola con quella del suo popolo?
Il termine popolo acquista dunque un significato meno ambiguo e soprattutto liberale quando è
associato non a una massa uniforme che parla con una voce e si identifica con un uomo o un partito,
ma invece all´insieme degli individui-cittadini che fanno una nazione. Individui singoli perché il
consenso non è una voce collettiva nella quale le voci individuali scompaiono, ma un processo che
tutti contribuiscono a formare. Il pluralismo è il carattere che fa del popolo un popolo democratico;
anche perché il voto è l´esito di una selezione tra diverse proposte o idee che devono potersi
esprime pubblicamente per poter essere valutate e scelte.

Vox populi vox dei ha un senso non sinistro solo a una condizione: che la democrazia abbia regole e
diritti non alterabili dalla maggioranza grazie ai quali i cittadini possono liberamente partecipare al
processo di definizione e interpretazione di quella "voce". Ma se la "vox dei" abita un luogo definito
e unico – sia esso un partito o un potere dello stato o un uomo – se acquista un significato unico,
allora è la voce non più del popolo ma di una sua parte che si è sostituita ad esso.
Concludendo in
sintonia con questa analogia religiosa, vale ricordare che l´unanimità e la concordia ecclesiastica
finirono quando il pluralismo interpretativo del cristianesimo si affermò. La democrazia
costituzionale può essere a ragione considerata una forma di protestantesimo politico.

Nadia Urbinati       la Repubblica 31 marzo 2009