Lo stato dei diritti in Italia


Qui si commenta una non notizia, un silenzio. Si dice: cane che morde uomo non fa notizia. E' la
massima fondamentale del mondo dell'informazione: quel che è abituale, ripetitivo, fissato nelle
regole della natura e non vietato dalla legge non fa notizia. Applichiamo la regola a un fatto dei
nostri giorni. Un fatto a tutti gli effetti grave – una tentata strage – che però non ha fatto notizia.
Ecco il fatto: nella tarda serata di lunedì 29 luglio anonimi attentatori a bordo di un "quad" hanno
lanciato una bottiglia molotov contro roulottes in sosta nell'area industriale di un piccolo centro
toscano. L'atto criminale è rimasto solo potenzialmente assassino perché la molotov non è
scoppiata. Un caso fortunato, che non riduce la responsabilità di chi ha tentato di uccidere. Eppure
la notizia, emersa per un attimo nella cronaca (ad esempio, su Repubblica del 30 luglio, sezione
Firenze, pag. 7), è affondata immediatamente nel silenzio.
Chi scrive queste righe ha tentato di capire meglio i fatti e soprattutto i silenzi attraverso un contatto
diretto con gli abitanti di un luogo che gli è per ragioni biografiche specialmente familiare. Ma si è
dovuto arrendere davanti a gente distratta, disinformata, simpatizzante più o meno apertamente per
gli attentatori. Molti affettavano di non sapere, pochi ammettevano che si era trattato di cosa
spiacevole, ma minimizzando: una ragazzata, un gesto innocuo, che aveva fatto pochi danni (appena
una carrozzeria ammaccata). Il resto, il pericolo corso da una famiglia, lo spavento di bambini e
adulti, la loro rapida decisione di fuggire dal luogo dell'aggressione, non sembrava suscitare
nessuna partecipazione. Bilancio: solidarietà evidente con gli autori dell'attentato, ostilità verso chi
ne era stato minacciato. Quasi un clima mafioso. Ma a differenza dei casi di mafia, in questo caso
omertà e silenzio locali hanno avuto un riscontro nazionale. Il silenzio è rapidamente calato sul
caso.
E le indagini ufficiali, che di norma qualcuno deve pur svolgere, non avranno vita facile.
L'enigma ha una soluzione facilissima. Nel luogo dell'attentato era in sosta per la notte una
carovana di automobili e roulottes di nomadi sinti. Solo per caso non ci sono stati dei morti: nelle
roulottes c'erano dei bambini. E ancora una volta, come accadde anni fa al criminale che, non
lontano da quel piccolo centro toscano, pose in mano a una piccola mendicante zingara una
bambola carica di esplosivo, i potenziali assassini sono stati coperti dalla solidarietà collettiva. Chi
conosce la banalità del male, la quotidiana serpeggiante avanzata della barbarie che precede e
sostiene le modificazioni profonde dei rapporti sociali, tenga d'occhio l'episodio. O meglio: annoti il
silenzio che ha inghiottito quella che solo per caso è stata una mancata tragedia.
Ne è stata teatro
una regione – la Toscana – che è d'obbligo definire «civile». Non si sa bene perché. «Civile»
appartiene all'esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza. Da quando la specie umana ha
riconosciuto in documenti solenni che non deve esistere nessuna differenza di dignità e di diritti tra i
suoi membri, la civiltà si definisce dall'assenza di razzismi e dalla lotta contro le discriminazioni di
ogni genere. E la cultura che si studia e si insegna ha la sua misura fondamentale nell'educare ai
valori della cittadinanza attiva. Certo, la Toscana ha un patrimonio grande di cultura. La sua
economia ne vive: cultura di terre incise dal lavoro come da un sapiente bulino, disegnate nelle
opere di una grandissima tradizione pittorica. Bellezze naturali e bellezze d'arte vi sono
inestricabilmente legate. Anche patiscono insieme le minacce del mercato. Per esporre meglio la
merce si affaccia periodicamente nelle opinioni locali la proposta di eliminare dalla vista dei clienti
le presenze sgradevoli: i "vu cumprà", i mendicanti, gli storpi e naturalmente gli zingari. "Corruptio
optimi pessima", diceva la massima antica: la caduta è tanto più pericolosa quanto più dall'alto si
precipita. Gli abitanti della regione che vanta tra i suoi titoli di nobiltà la prima abolizione legale
della pena di morte oggi ospitano e nascondono un virus antico e pericoloso. Non sono i soli. E non
basterà il voto di condotta restaurato nelle scuole a educare i futuri cittadini se chi getta una
bottiglia molotov contro gli zingari viene impunemente vissuto dalla collettività come «uno di noi»:
noi in lotta contro loro – i diversi, i senza diritti.

Un'ultima osservazione: l'ostilità nei confronti dei nomadi, degli zingari, è antica e diffusa, in
Toscana come in tutta Italia. Ma nessuno aveva mai pensato di ricorrere alle molotov contro di loro.
E' un salto di qualità senza precedenti, il gradino più alto toccato da aggressioni e tentativi di
linciaggio che non fanno nemmeno più notizia. E una cosa è evidente: non ci saremmo mai arrivati
senza la campagna di diffamazione e di criminalizzazione condotta da partiti politici di governo e
senza la recente legittimazione giuridica della discriminazione nei confronti delle presenze «aliene»
– zingari, immigrati clandestini, esclusi dalla comunità («extracomunitari»). Il cattivo esempio
viene da chi ha la responsabilità di governare gli umori collettivi e non sa rinunziare a eccitarli.
Se
quella molotov fosse esplosa, oggi saremmo qui a contare le prime vittime di una campagna
irresponsabile alimentata dall'alto. Chi favoleggia di proteste in difesa dei diritti di libertà in Cina
cominci a prendere sul serio quel che si dice nel mondo sulla situazione dei diritti umani in Italia.

Adriano Prosperi      la Repubblica  9 agosto 2008