Lo spirito laico
Ricorda Stefano Rodotà che in Inghilterra dei lavoratori hanno al polso una
specie di orologio che
ne monitorizza ogni attività. Nessuno ha protestato, e non stupisce, se si
considera che nei giorni
scorsi ciò che la seconda carica dello Stato ha saputo offrire a un povero
indiano massacrato da una
barbarie che è anzitutto incultura, è stato un lavoro, se non morirà. Il
discorso pubblico, di questi
tempi e nel nostro Paese, sembra diventato indifferente a ciò che rende la vita
degna di essere
vissuta, per concentrarsi sulla nuda vita, su ciò che c'è prima e dopo lo
spirito, cioè prima e dopo gli
affetti, la coscienza e la responsabilità.
Non è il solo paradosso in un'epoca di schematizzazioni e di contrapposizioni
per cui da una parte
ci sarebbero le fedi, viventi, pulsanti e dense di valori, e dall'altro sacche
residuali di laicismo,
attente soltanto all'osservanza farisaica di diritti formali. Tra i molti meriti
del libro di Rodotà - che
nella prima parte chiarisce con profondità di dottrina e sensibilità morale il
vero significato culturale
e politico della laicità, e nella seconda ripercorre le tappe della involuzione
dei rapporti tra laici e
cattolici negli ultimi dieci anni - è sfatare questo pregiudizio. Perché se
c'è qualcuno che non
considera la persona un ammasso di cellule, è proprio il laico. La considera
spirito, volontà e
ragione, e proprio per questo ritiene che nel momento in cui lo spirito se ne è
andato anche la
persona non c'è più. Ricorre più volte nel libro la parola "indecidibile", era
una parola cara a
Derrida, che ci vedeva il carattere specifico delle scelte morali, in cui
nessuno può sostituirsi a
quell'assoluto che è la persona quando decide per sé. Ora, scrive Rodotà in
questo libro, «quando si
giunge al nucleo duro dell'esistenza, alla necessità di rispettare la persona
umana in quanto tale,
siamo di fronte all'indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella
coralmente espressa da
tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella
dell'interessato». Se poi
il singolo deciderà di demandare a un'altra tutela questa decisione, è una
scelta che come tale va rispettata,
a patto che si rispetti e si renda pienamente praticabile la concezione secondo
cui la vita è
davvero tale solo se è «vita esaminata», vita pensata e decisa, nella tradizione
che da Socrate porta a
Nozick.
Sono desolato per questo esercizio di "dropping names", insieme pedante in un
articolo di giornale
e insufficiente, perché i nomi sono troppi, e non per caso. La laicità è
l'erede della tradizione
umanistica che vede per l'appunto nella persona un assoluto della
responsabilità. Questa laicità è
oggi difficile, non perché i veri credenti si siano scoperti intolleranti, ma
per uno scontro che passa
in buona parte sulle teste di laici e credenti, in una contesa biopolitica o
meglio tanatopolitica la cui
posta in gioco è la nuda vita, l'organismo. Ma la dignità dell'uomo sta proprio
in una vita vestita,
tutelata da diritti, da istruzione, da documenti, da spirito e da memoria. Non
dimentichiamocelo.
«Orba di tanto spiro» era la spoglia di Napoleone per il cattolico Manzoni
perché il corpo era
immemore, senza pensiero e senza ricordi. Sembrava una cosa ovvia e sacrosanta,
allora, 5 maggio
1821. Oggi, si direbbe, meno.
Stefano Rodotà, Perché laico, Laterza, Roma-Bari, pagg. 194, € 15,00
Maurizio Ferraris Il Sole-24 Ore 15 febbraio 2009