Lo scontro tra la scienza e la fede
Lo scontro fra la scienza e la fede che si sta dispiegando
sotto i nostri occhi increduli in momenti nodali dell'attuale vicenda umana,
religiosa e politica, ripropone in termini formalmente nuovi ma sostanzialmente
identici la dura competizione che si è scatenata all'alba della modernità fra la
«fede ormai impallidita» e la scienza che stava nascendo.
Ci sembra di tornare indietro di cinquecento anni quando il potere ecclesiastico
e quello scientifico entrarono in feroce concorrenza per l'egemonia sul mondo
nuovo. E fra i due contendenti fu schiacciata quella corrente dell'umanesimo,
presente sia nella Chiesa che nel mondo scientifico, che era intrisa di amore
per la natura.
Impedendole di svilupparsi e di indirizzare la nascente razionalità scientifica
verso esiti meno distruttivi. La storica Anna Foa, nel suo Giordano Bruno, si
domanda se gli inquisitori non fossero partecipi ben più di Bruno (e di
Galileo), in quell'inizio del secolo XVII, di una mentalità 'moderna', e non
rientrassero ormai nell'ambito di un pensiero razionalistico e 'geometrico' che
non offriva più spazio né credito alla cultura naturalista del Rinascimento.
Benedetto XVI ripropone nei suoi pronunciamenti quella sciagurata spartizione
che ha avuto esiti così disastrosi. E lo farà, c'è da scommettere, anche alla
Sapienza: a voi il dominio materiale sulla natura, alla Chiesa il dominio
assoluto etico e spirituale. Chi fa le spese di una tale spartizione sono i
Bruno, i Galilei e le streghe di oggi. Come il Sabba fu lo strumento
inquisitorio della caccia alle streghe così oggi si usa l'aborto per accendere
nuovamente i roghi delle donne. Un passo avanti si è fatto: è sparito il rogo
fisico. Ci si contenta di riproporre la condanna penale dell'aborto e la
moratoria. Ma il risultato culturale e politico è sempre lo stesso:
l'annullamento della soggettività femminile come soluzione finale per il dominio
moderno sulla natura. Le persecuzioni delle streghe non furono un fenomeno
medioevale. Il culmine dei pogrom è tra il 1560 e il 1630, quindi all'inizio
dell'epoca moderna. Gli ultimi processi contro le streghe ebbero luogo nel 1775
in Germania, nel 1782 in Svizzera e nel 1793 in Polonia. Le «streghe» vennero
lacerate tra la Chiesa, che voleva tener salda la «fede ormai impallidita» come
bastione di resistenza, e la «ragione che stava fiorendo» e che portava al
dominio sulla natura. La fede impallidita e la ragione fiorente, in feroce
competizione per l'egemonia sul mondo nuovo che stava nascendo, si allearono per
togliersi di mezzo la donna, radicale ostacolo alla cultura del dominio. I
medici, ad esempio, contribuirono sistematicamente con la loro consulenza
specifica al controllo del grado di tollerabilità delle torture delle streghe.
Lo fecero per danaro ma anche per strategia politica e di potere. Il nuovo
soggetto «illuminato» doveva costituirsi in opposizione alla natura interiore ed
esteriore e non in sintonia con esse. L'immagine magica del mondo, che aveva
potuto resistere nei secoli nonostante la cristianizzazione, venne eliminata
all'irruzione del periodo manifatturiero, con il trionfo della scienza moderna
sulla teologia. Suo becchino fu però la chiesa, cosa che comportò l'assassinio
delle donne, nel senso più vero dell'espressione. La cifra di un milione di
roghi non è esagerata. Sia l'umanità medioevale che impallidiva e resisteva sia
la «nuova» umanità dell'epoca industrializzata era maschile. Scrive queste cose,
ed è sintomatico, la teologa tedesca Hedwin Meyer Wilmes docente di teologia
femminista all'università cattolica di Nimega - Olanda, sulla rivista teologica
internazionale Concilium 1/98. La competizione storica delineata sopra per
l'egemonia sulla modernità prosegue oggi. Le modalità sono diverse, ma resta una
competizione fra culture maschili che si alleano per togliersi di mezzo
l'ostacolo comune e cioè la soggettività femminile. Dopo quattro secoli di
rimozione, il naturalismo riemerge in forme nuove. Esso non è da confondere con
la negazione dell'evoluzione in nome di una visione mitica della natura né con
l'espandersi del mercato ai bisogni della psiche attraverso mode
pseudo-religiose. È piuttosto emersione di soggettività dal basso e riscatto di
culture represse. In qualche modo un ritorno della cultura delle streghe e dei
maghi del Rinascimento e anche un riscatto delle culture indigene. Non va
dimenticato infatti che nei secoli XVI e XVII, insieme al genocidio delle
streghe e dei maghi si realizza il genocidio dei popoli indigeni delle Americhe
e in Asia dei popoli di cultura sciamanica ad opera della colonizzazione russa.
È ormai consolidata nella esperienza e nella riflessione del femminismo la
convinzione che la ridefinizione della relazione uomo-donna come reciprocità, al
posto della storica dipendenza gerarchica, fa tutt'uno con la medesima
ridefinizione del rapporto fra classi-popoli-culture dominanti e dominati e con
la pacificazione fra umanità e natura, tanto che ormai si parla di
«eco-femminismo». Si intitola significativamente Gaia e Dio. Una teologia
ecofemminista per la guarigione della terra una recente opera di Rosemary
Radford Ruether, teologa nord-americana di grande prestigio, in cui risuona il
tema caro a Bruno e anche a Galileo della immedesimazione fra la uomo, natura e
Dio. La critica verso la divaricazione progressiva fra modernità e natura e il
bisogno di nuovo naturalismo non è solo della teologia femminista, ma ora sembra
l'approdo della stessa teologia della liberazione. «Tremate, tremate, le streghe
son tornate», uno degli slogan più significativi del femminismo, è stato preso
sul serio dai poteri che si contendono l'egemonia del mondo globalizzato. Ed è
ripartita la caccia da parte sia di quel mondo scientifico che è legato a filo
doppio alla nuova religione del danaro, sia di quel mondo della fede che punta
con forza al ritorno del sacro e osteggia in ogni modo il processo storico di
liberazione da ogni alienazione. Opporsi a questa orrida pratica repressiva
verso la donna e verso la liberazione è parte della ricerca e della lotta per un
«nuovo mondo possibile».
Enzo Mazzi Il manifesto 16/1/2008