Lo sberleffo di La Russa
Sono passati più di dieci anni e i ragazzi di Salò sono
diventati i paracadutisti veterani del Battaglione Nembo. Era ovvio il tentativo
di Ignazio La Russa di legittimare il suo discorso invocando l'autorevole
precedente di Luciano Violante nel suo discorso di insediamento a presidente
della Camera. Ma è altrettanto ovvio che questa volta lo strappo è molto più
radicale e violento. Con quella espressione, nel 1996, Violante lasciava
aleggiare sulla repubblica di Salò una sorta di irresponsabilità adolescenziale,
o meglio di deresponsabilizzazione.
Spalancando così la strada a una visione assolutoria di quell'esperienza e
facendo precipitare in una sorta di fanciullesca ingenuità gli eventi tragici
che scandirono il percorso della militanza nella Repubblica sociale italiana (la
complicità nella deportazione degli ebrei, la partecipazione diretta alle stragi
dei civili, la ferocia della repressione antipartigiana). Era comunque - quello
di Violante - un riferimento ai singoli, alle motivazioni soggettive, ai
percorsi individuali di quelli che preferirono allearsi con i tedeschi e misero
la propria giovinezza al servizio dello sterminio nazista. Questa volta c'è
qualcosa di più e di ben peggiore. La Russa ha citato un reparto militarmente
organizzato della Repubblica di Salò, consentendosi un'affermazione che mai si
era sentita all'interno dei nostri recinti istituzionali e della nostra memoria
«ufficiale» in sessanta anni di storia repubblicana. Il battaglione Nembo non
era fatto di «ragazzi»; era una unità regolare che - tanto per togliere ogni
dubbio sulla sovranità del governo fantoccio della repubblica di Mussolini - si
schierò sul fronte di Anzio inserito organicamente nei quadri della Whermacht. I
350 paracadutisti comandati dal capitano Corradino Alvino, furono infatti
utilizzati nell'ambito dei reggimenti 10˚ e 11˚ d'assalto della 4˚ Divisione
Paracadutisti germanica. Altro che difesa della patria italiana! Quei militari
funzionarono come ausiliari dell'esercito tedesco, obbedirono a una strategia
che mirava a fare del nostro territorio nazionale un immenso e sanguinoso campo
di battaglia nell'intento di ritardare il più possibile l'avanzata degli
anglo-americani verso i «sacri» confini del Terzo Reich. Fu una guerra con i
tedeschi e per i tedeschi quella combattuta dai paracadutisti del battaglione
Nembo. Fu una scelta riassunta nella tragica parola d'ordine «onore e fedeltà al
camerata tedesco». Ignazio La Russa sembra rivendicarla ancora oggi, quando è
ormai accertato che quello slogan significò il prolungarsi delle sofferenze del
nostro popolo, la possibilità per i nazisti di completare le loro razzìe contro
gli ebrei e i partigiani, il protrarsi dell'incubo delle rappresaglie e delle
stragi che causarono la morte di quindicimila civili italiani. Il fatto che La
Russa abbia scelto per il suo strappo la celebrazione dell'8 settembre e il
ricordo dello scontro sostenuto a Porta San Paolo da patrioti italiani contro le
truppe tedesche configura poi un paradosso che segnala anche un sinistro corto
circuito tra la memoria storica di questo paese e le istituzioni che lo
rappresentano. Un ministro della Repubblica celebra le vittime di quello
scontro, considerato la data d'inizio della resistenza, elogiando quelli che si
schierarono con i loro carnefici! Sembra quasi un tragico sberleffo.
Giovanni De Luna Il manifesto 10/9/08