LICENZIATA UNA INSEGNANTE: “È DIVORZIATA”

Un forte condizionamento etico in totale contraddizione con i principi Costituzionali e la laicità dello Stato.

Principio basilare dello stato di diritto è quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alle legge. Un principio che è alla base della democratica Costituzione della Repubblica italiana, ma che è spesso tradito in nome del Concordato con la Chiesa cattolica voluto da Mussolini nel '29 e rinnovato da Craxi nell'84.

Può accadere allora, che una lavoratrice possa essere licenziata perché divorziata, come nel caso della signora Caterina Bonci, insegnante elementare di religione cattolica a Fano. La decisione è del Vescovo, che in virtù del Concordato stabilisce gli idonei ad impartire l'insegnamento religioso nelle scuole della Repubblica. E poiché la signora Bonci per il catechismo cattolico si sarebbe "macchiata di peccato" violando il sacramento del matrimonio, ha perso il posto di lavoro. In Italia, ciò che è semplicemente “peccato” può divenire reato, ed allora è il diritto canonico a dettar legge: All'autorità della Chiesa è sottoposta l'istruzione e l'educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola o viene procurata per mezzo di vari strumenti di comunicazione sociale; spetta alla Conferenza episcopale emanare norme generali in questo campo d'azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su esso. (Diritto Canonico, canone 804)

L'Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti di religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica. È diritto dell'Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedono motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi (Diritto Canonico, canone 805).

L'insegnante di religione cattolica è un prescelto dunque, solo se completamente organico all’ ideologia della Chiesa, che ne controlla “dottrina e costumi”.

Un principio questo, che non ha subito variazione alcuna nella legge sull’immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica approvata il 15 luglio 2004, in virtù della quale lo Stato italiano, non solo continuerà ad obbedire a quanto la Chiesa decide, ma addirittura dovrà garantire che questo personale docente assai particolare vada ad insegnare materie diverse dalla religione cattolica. Il meccanismo perverso introdotto da questa legge, infatti, prevede che qualora il Vescovo competente territorialmente ritenga gli insegnanti di religione cattolica non più adatti all'insegnamento cattolico, potrà esigere che siano rimossi. Ma poiché essi sono ormai a tutti gli effetti titolari di un contratto a tempo indeterminato con lo Stato, l’insindacabile decisione vaticana avrà come conseguenza che andranno a coprire le cattedre delle materie obbligatorie per tutti, alle quali gli altri docenti di ruolo hanno avuto accesso per le vie regolari (selettivi concorsi a cattedra, titoli, abilitazioni…). Alla Chiesa cattolica, allora, si consente di gestire un vero e proprio canale di reclutamento del personale della scuola parallelo a quello Statale, per accedere al quale bisognerà essere eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana. Un forte condizionamento etico, dunque, in totale contraddizione con i principi Costituzionali e la laicità dello Stato.

Non sarebbe forse il caso di risolvere la questione estromettendo l’insegnamento confessionale dalle scuole della Repubblica?

Maria Mantello   (13-9-2005)

 

 

ANCORA UN CASO DI MALA EDUCACION: L’INSEGNANTE DI RELIGIONE LICENZIATA A FANO.

Perchè troppo scollata... maggiorata... divorziata? In ogni caso, la definitiva dimostrazione che il concorso per i docenti di religione cattolica ha creato più problemi di quelli che intendeva (...?) risolvere.

Poichè in questi giorni i principali quotidiani italiani si sono occupati (un po’ più di quanto non sia avvenuto per casi analoghi, come si vedrà subito...), del caso di una insegnante di religione cattolica a cui il vescovo ha revocato l’idoneità provocandone, ai sensi del concordato e della successiva intesa tra Stato e Chiesa, l’immediato licenziamento, mi è sembrato opportuno intervenire per approfondire alcuni aspetti della vicenda che, essendo meno noti al grande pubblico, non hanno avuto forse il risalto che meritavano negli articoli pubblicati su questo episodio.

Innanzitutto, quello della professoressa di Fano non è ne’ il primo ne’ l’unico caso nel nostro paese in cui un docente di religione si trova senza lavoro a motivo della revoca dell’idoneità. Gli insegnanti di religione sono gli unici dipendenti pubblici nel nostro paese a poter essere licenziati in qualsiasi momento e senza nessuna possibilità di rivalsa, ne’ nei confronti dello Stato che li paga, ne’ nei confronti della Curia che li assume. Il recente concorso indetto dal Ministero dell’ Istruzione, Università e Ricerca ha cambiato le cose più nell’apparenza che nella sostanza, (gli insegnanti che hanno superato il concorso hanno diritto a mantenere il posto di pubblico dipendente –anche se non è ben determinato in quale mansione- anche in caso di revoca dell’idoneità, ma questa è comunque indispensabile a superare il concorso, per cui, come si vede, si tratta di una specie di “Comma 22”...).

In Italia, comunque, questi fatti non hanno mai destato ne’ scalpore ne’ particolare interesse, a differenza di altri paesi dove sono in vigore accordi analoghi tra Stato e Chiesa cattolica.

In Spagna, alcuni anni fa, il licenziamento di alcuni docenti di religione suscitò un tale interesse da parte del pubblico e della stampa, da essere considerato in parte responsabile della svolta che ha portato al potere la sinistra di Zapatero (in Italia naturalmente non abbiamo saputo nulla di tutto ciò). I tribunali del lavoro spagnoli condannarono lo Stato a risarcire gli insegnanti licenziati (a motivo del concordato, non potevano comunque essere riassunti in servizio), ritenendolo responsabile della discriminazione in quanto firmatario del concordato.

Ma se qualcuno (particolarmente qualche anticlericale...) ritenesse sbrigativamente che il silenzio della stampa italiana sia dovuto ad una ingerenza particolarmente massiccia e pesante delle gerarchie cattoliche, be’... forse non si sbaglierebbe del tutto, ma avrebbe comunque ragione solo in parte.

In realtà, ci sono altri personaggi che hanno interesse a non far parlare troppo di queste cose, personaggi, tanto per non fare nomi, che si chiamano Pezzotta, Angeletti, Epifani... e poi Rutelli, Prodi, Fassino...

Già, perchè è prima di tutto a questi signori che conviene fare finta che nel nostro paese fatti del genere non si possano verificare. Se, negli attimi fuggenti in cui questi episodi vengono illuminati dai riflettori dell’informazione di massa, la Chiesa cattolica non fa una bella figura, quelli che sostengono di lavorare perché il nostro sia un paese “normale”, uguale a tutte le altre democrazie liberali moderne, fanno una figura anche peggiore.

In Spagna furono principalmente i maggiori sindacati di categoria e nazionali a mobilitarsi in modo massiccio, promuovendo una campagna di informazione sui giornali e in televisione, e spingendo le forze politiche, (soprattutto, a quel tempo, di opposizione), ad investire il Parlamento della questione. La risposta del governo di Aznar fu significativa: il concordato era stato approvato anche dalla sinistra (l’unico aspetto di tutta la questione sul quale la maggioranza poteva tentare di difendersi senza timore di venire smentita...).

Ora qui da noi si finge stupore di fronte alle iniziative (definite “anticlericali”) di Zapatero, così come del fatto che la maggioranza degli spagnoli approvi l’operato del nuovo governo. In realtà, tutto questo si spiega semplicemente col fatto che in Spagna non hanno dimenticato quello che in Italia non abbiamo mai saputo...

Il secondo aspetto di questa vicenda che merita di essere considerato con attenzione è quello della vera ragione del contenzioso tra l’insegnante e il vescovo di Fano. I giornali, dovendo come è noto prima di tutto vendere (anche per essere letti...), hanno messo l’accento soprattutto su aspetti di costume, che, in ogni caso (grazie anche al conflitto di interessi che imperversa nel paese), costituiscono ormai l’80% dell’informazione...

La curia a sua volta ha contrattaccato adducendo il motivo del divorzio il quale, anche se tecnicamente più fondato, appare a sua volta per lo meno pretestuoso, soprattutto alla luce del fatto che la docente insegnava ormai da dieci anni pur permanendo nello stato civile di divorziata.

Per chi conosce la materia un po’ più a fondo, però, non è difficile comprendere la vera ragione del contenzioso e anche dei toni particolarmente drastici e aspri assunti da parte dell’ufficio diocesano: la professoressa avrebbe infatti ritenuto non solo di non avere bisogno di un riconoscimento di idoneità da parte del proprio vescovo per partecipare al concorso, ma avrebbe anche intrapreso una azione legale per fare valere i suoi diritti in questo senso.

Che una cosa del genere abbia fatto rizzare le setole al vescovo e ai suoi collaboratori diventa a questo punto perfettamente comprensibile, anche se, ovviamente, da un punto di vista laico, ingiustificabile. Tale azione legale aveva infatti (e potrebbe avere ancora, se condotta nelle sedi appropriate) come potenziale conseguenza quella di invalidare il concorso a livello nazionale!

Proprio così. Se la prof.ssa Caterina Bonci ha ragione, il concorso degli insegnanti di religione non si può fare.

Ed è il caso ora di precisare una cosa importante riguardo a questo concorso: non sono stati i vescovi a indirlo ne’ lo avrebbero potuto fare: tanto l’intesa quanto il concordato non contengono alcun obbligo in questo senso a carico dello Stato italiano.

Il concorso per gli insegnanti di religione cattolica è stata una iniziativa del tutto autonoma assunta dall’attuale maggioranza di governo, fortemente voluto e sostenuto tra gli altri proprio dal Ministro dell’ Istruzione Letizia Moratti che ne ha siglato i decreti applicativi. Ma questo governo sapeva perfettamente che per fare questo concorso, in virtù dell’intesa e del concordato, avrebbe dovuto recepire la clausola dell’idoneità da parte del vescovo come requisito indispensabile.

Ora, è proprio questa clausola a costituire l’elemento più eminentemente controverso dell’ IRC, dal quale scaturiscono oltretutto tutti gli aspetti più sconcertanti di questa vicenda.

Quello che permette al vescovo di svegliarsi dopo dieci anni e dire: “oh... ma questa insegnante è divorziata, non avremmo dovuto lasciare che insegnasse religione”.

Quello che permette al direttore del suo ufficio diocesano di dire: “siamo stati caritatevoli per dieci anni...”

(poichè in realtà lo sono stati con i nostri soldi, potremmo anche sorvolare sul sottotono peloso, e anche un tantino intimidatorio e ricattatorio, di questa affermazione. Quando però con i nostri soldi si commettono abusi e arbitri, non possiamo più essere d’accordo...)

Quello che permette ad un genitore, a un bidello o a una maestra di pensare non solo che la professionalità di una collega si possa giudicare da come si veste, ma anche che qualcuno li abbia costituiti giudici della materia...

Insomma è proprio dall’idoneità che deriva quel contenuto di “mala educacion” che i laici italiani ritengono appartenere in modo fondamentalmente insanabile all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche cosi come previsto dal concordato e dalle intese applicative.

Perchè chi lavora grazie all’idoneità è obbligato a sostenere il principio dell’idoneità con tutto quello che comporta di arbitrario e discriminatorio, compreso il fatto di associarsi nella lapidazione della collega piuttosto che prendere le sua difese, (e, si presume, perfino ad insegnare quello che si pratica...)

Chi lavora grazie all’idoneità è obbligato a dimostrarsi fedele e leale all’autorità che gliela può revocare, mentre si sente molto meno obbligato nei confronti di chi tira davvero fuori i soldi per pagare il suo stipendio.

I valori che trasmette sono la genuflessione di fronte ad un’autorità che detiene un potere insindacabile, piuttosto che l’autorevolezza della competenza e l’uguaglianza delle opportunità.

Valori, insomma, che non appaiono compatibili con quelli che nella nostra Costituzione Repubblicana regolano non solo il funzionamento della scuola stessa, ma anche i rapporti di lavoro e sanciscono il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, indipendentemente dal sesso, dalla razza, dal credo, dal censo e dallo stato civile.

Nonostante questo, con la clausola di idoneità e il concorso che la recepisce questi valori... neo-feudali (ancora prima che neo-cons e teo-cons) vengono di fatto introdotti nella scuola pubblica (e appare oltretutto estrememente improbabile che da parte dell’attuale maggioranza si sia trattato semplicemente una svista...).

Se c’è una cosa che l’episodio di Fano dimostra, è che tutto questo non avviene senza conseguenze.

Un principio che deve essere sempre presente alla coscienza dei cittadini di una società liberale e democratica, è che se una cosa può accadere ad un altro cittadino, può accadere a te. Se il tal dei tali può essere trattato così, anche tu puoi essere trattato così.

E’ questa consapevolezza –che gli spagnoli hanno dimostrato di possedere- che fa la differenza tra le società che sanno difendere la propria libertà e i propri diritti, e quelle che degenerano nell’autoritarismo.

Dikeopolis  (11-9-2005)

 

entrambi gli articoli dal sito:   www.italialaica.it