Lettera aperta al Presidente della Repubblica
Caro Napolitano, Perché ti sei scusato col papa? Dovevi scusarti
col prof Cini
Caro Presidente,
tempo fa, dovendo scriverti per invitarti ad una iniziativa di MicroMega, chiesi
tramite il tuo addetto stampa se dovevo continuare ad usare il "tu" della
consuetudine precedente la tua elezione, o se era più consono che usassi il
"lei", per rispetto alla carica istituzionale. Poiché, tramite il tuo addetto
stampa, mi facesti sapere che preferivi che continuassi a scriverti con il "tu",
è in questo modo che mi rivolgo a te in questa lettera aperta, tanto più che,
essendo una lettera critica, mi sembrerebbe ipocrisia inzuccherare la critica
con la deferenza del "lei".
Il mio dissenso, ma si tratta piuttosto di stupore e di amarezza, riguarda la
lettera di scuse che in qualità di Presidente, dunque di rappresentante
dell'unità della nazione, hai inviato al Sommo Pontefice per l'intolleranza di
cui sarebbe stato vittima. E' verissimo che di tale intolleranza, di una azione
che avrebbe addirittura impedito al Papa di parlare nell'aula magna della
Sapienza, anzi perfino di muoversi liberamente nella sua città, hanno vociato e
scritto tutti i media, spesso con toni parossistici.
Ma è altrettanto vero che di tali azioni non c'è traccia alcuna nei fatti. La
modesta verità dei fatti è che il magnifico rettore (senza consultare
preventivamente il senato accademico, ma mettendolo di fronte al fatto compiuto,
come riconosciuto dallo stesso ex-portavoce della Santa Sede Navarro-Vals in un
articolo su Repubblica) ha invitato il Papa come ospite unico in occasione
dell'inaugurazione dell'anno accademico (a cui partecipano in nome della
Repubblica italiana il ministro dell'università e il sindaco di Roma), e che,
avutane notizia dalla agenzia Apcom il professor Marcello Cini (già dallo scorso
novembre) e alcune decine di suoi colleghi (più di recente) hanno espresso per
lettera al rettore un loro civilissimo dissenso.
Quanto agli studenti, nell'approssimarsi della visita alcuni di loro hanno
espresso l'intenzione di manifestare in modo assolutamente pacifico un analogo
dissenso, nella forma di ironici happening.
Il rettore Guarini ha comunque rinnovato al Papa l'invito, e tanto il Presidente
del Consiglio Romano Prodi quanto il ministro degli Interni Giuliano Amato hanno
esplicitamente escluso che si profilasse il benché minimo problema di ordine
pubblico (malgrado la campagna allarmistica montata dal quotidiano dei vescovi
italiani, "L'Avvenire", rispetto a cui le dichiarazioni di Prodi e Amato
suonavano esplicita smentita). Nulla, insomma, impediva a Joseph Ratzinger di
recarsi alla Sapienza e pronunciare nell'aula magna la sua allocuzione.
Di pronunciare, sia detto en passant e per amore di verità, il suo monologo,
visto che nessun altro ospite contraddittore o "discussant" era previsto, e un
monologo resta a tutt'oggi nella lingua italiana l'opposto di un dialogo,
checchè ne abbia mentito l'unanime coro mediatico-politico (che di rifiuto
laicista del dialogo continua a parlare), a meno di non ritenere che tale
opposizione, presente ancora in tutti i dizionari in uso nelle scuole, sia il
frutto avvelenato del già stigmatizzato complotto laicista.
Tutto dunque lasciava prevedere che la giornata si sarebbe svolta così: mentre
Benedetto XVI pronunciava il suo monologo nell'aula magna, tra il plauso
deferente dei presenti (e in primo luogo del ministro Mussi e del sindaco
Veltroni), ad alcune centinaia di metri di distanza alcuni professori di fisica
avrebbero tenuto un dibattito sui rapporti tra scienza e fede esprimendo
opinioni decisamente diverse da quelle del regnante Pontefice, e ad altrettanta
debita distanza qualche centinaio di studenti avrebbe innalzato cartelli di
protesta e maschere ironiche. Ironia che può piacere o infastidire, esattamente
come le vignette contro il profeta Maometto, ma che costituisce irrinunciabile
conquista liberale.
Dove sta, in tutto ciò, l'intolleranza? E addirittura la prevaricazione con cui
si sarebbe messa al Papa la mordacchia (secondo l'happening inscenato in aula
magna dagli studenti di Comunione e liberazione)?
A me sembra che intolleranza - vera e anzi inaudita - sarebbe stato vietare ad
un gruppo di docenti di discutere in termini sgraditi ai dogmi di Santa Romana
Chiesa, e ad un gruppo di studenti di manifestare pacificamente le loro
opinioni, ancorché in forme satiricamente irridenti. Se anzi di tali divieti si
fosse solo fatto accenno da parte di qualche autorità, credo che un numero
altissimo di cittadini si sarebbe sentito in dovere di rivolgersi a te quale
custode della Costituzione, con toni di angosciata preoccupazione per libertà
fondamentali messe così platealmente a repentaglio. Ma, per fortuna (della
nostra democrazia), nessun accenno del genere è stato fatto.
Il Sommo Pontefice non era di fronte ad alcun impedimento, dunque. Ha scelto di
non partecipare perché evidentemente non tollerava che, pur avendo garanzia di
poter pronunciare quale ospite unico il suo monologo in aula magna, nel resto
della città universitaria fossero consentite voci di dissenso, anziché risuonare
un plauso unanime.
Non è, questa, una mia malevola interpretazione, visto che sono proprio gli
ambienti vaticani ad aver riferito che il Papa preferiva rinunciare a recarsi in
visita presso una "famiglia divisa" (cioè il mondo accademico e studentesco
della Universitas studiorum, la cui quintessenza istituzionale è però proprio il
pluralismo delle opinioni). Ma pretendere quale conditio sine qua non per la
propria partecipazione un plauso unanime non mi sembra indice di propensione al
dialogo bensì, piuttosto, di vocazione totalitaria.
Non vedo dunque per quale ragione tu abbia ritenuto indispensabile, a nome di
tutta la nazione di cui rappresenti l'unità, porgere al Papa quelle solenni
scuse. Che ovviamente, data la tua autorità, hanno fatto il giro del mondo. Se
c'è qualcuno che aveva diritto a delle scuse, semmai, è il gruppo di illustri
docenti, tutti nomi di riconosciuta statura internazionale nel mondo
scientifico, e che tengono alto il prestigio italiano nel mondo, a contrappeso
dell'immagine di "mondezza" e politica corrotta ormai prevalente all'estero per
quanto riguarda il nostro paese. Questi studiosi sono stati infatti accusati di
fatti mai avvenuti, e insolentiti con tutte le ingiurie possibili ("cretini" è
stato il termine più gentile usato dai maestri di tolleranza che si sono
scagliati contro il diritto di critica di questi studiosi).
Né si può passare sotto silenzio il contesto in cui il monologo di Benedetto XVI
si sarebbe svolto, contesto caratterizzato da due aggressive campagne scatenate
dalle sue gerarchie cattoliche. Trascuriamo pure la prima, cioè i rinnovati e
sistematici attacchi al cuore della scienza contemporanea, l'evoluzionismo
darwiniano (bollato di "scientificità non provata" da un recente volume
ratzingeriano uscito in Germania), benché il rifiuto della scienza non sia cosa
irrilevante per chi dovrebbe aprire l'anno accademico della più importante
università del paese.
Infinitamente più grave mi sembra la seconda, la qualifica di assassine
scagliata dal Papa e dalle sue gerarchie, in un crescendo di veemenza e
fanatismo, contro le donne che dolorosamente abbiano scelto di abortire. Questo
sì dovrebbe risultare intollerabile. Se un gruppo di scienziati accusasse Papa
Ratzinger, o solo anche il cardinal Ruini, il cardinal Bertone, il cardinal
Bagnasco, di essere degli assassini, altro che lettere di scuse! E perché mai,
invece, ciascuno di loro può consentirsi di calunniare come assassina, nel
silenzio complice dei media e delle istituzioni, ogni donna che abbia deciso di
utilizzare una legge dello Stato confermata da un referendum popolare? Se
vogliono rivolgersi alle donne del loro gregge ricordando che l'aborto, anche un
giorno dopo il concepimento, è un peccato mortale, e che quindi andranno
all'inferno, facciano pure, proprio in base a quel "libera Chiesa in libero
Stato" che il Risorgimento liberale e moderato di Cavour ci ha lasciato in
eredità. Ma diffamare come assassine cittadine italiane che nessun reato hanno
commesso è una enormità che non può essere passata sotto silenzio, e non sono
certo il solo ad essermi domandato con amarezza perché, in quanto custode
dell'unità della nazione e dunque anche delle sue radici risorgimentali, tu non
abbia fatto risuonare la protesta dello Stato repubblicano.
La canea di accuse e di menzogne di questi giorni mi ha portato
irresistibilmente alla memoria una piccola esperienza di oltre quarant'anni fa,
nel 1966, quando - giovane universitario iscritto al Partito comunista da meno
di tre anni - vissi incredulo l'esperienza di un congresso (l'XI, se non ricordo
male) di un Partito che si vantava di essere sostanzialmente più libero e
democratico degli altri (per questo, del resto, vi ero entrato, come milioni di
italiani), in cui Pietro Ingrao, per aver moderatissimamente avanzato l'idea di
un "diritto al dissenso" fu investito da una esondazione di critiche e vituperi,
compresa l'accusa di essere proprio lui un intollerante!
Con una differenza sostanziale e preoccupante: che allora tale capovolgimento
della realtà, versione soft ma non indolore dell'incubo orwelliano, riguardava
solo un partito. Oggi investe l'intero paese, la sua intera classe politica, la
quasi totalità dei suoi mass-media.
Ecco perché spero che tu voglia prestare attenzione anche all'angosciata
preoccupazione di quei segmenti laici (o laicisti, come preferisce la polemica
corrente) del paese, non so se maggioritari o minoritari (ma la democrazia
liberale, a cui ci hai più volte richiamato, è garanzia di parola e ascolto
anche per il dissenso più sparuto, fino al singolo dissidente), che ormai
vengono emarginati o addirittura cancellati dalla televisione, cioè dallo
strumento dominante dell'informazione, e il cui diritto alla libertà d'opinione
viene di conseguenza vanificato, mentre ogni tesi oscurantista può dilagare e
spadroneggiare.
Con stima, con speranza, con affetto, credimi,
tuo Paolo Flores d'Arcais.
Paolo Flores D'Arcais Liberazione 20.1.08