Lettera al futuro segretario
Il Pd e quell’esame di laicità


Cari Dario, Pierluigi, Ignazio, le vostre rispettive culture, pur provenienti da tradizioni diverse, non sono certo sospettabili di integralismo confessionale: dunque, la vostra concezione della laicità dello Stato e della politica non dovrebbe sollevare dubbi. Eppure, ascoltando le preoccupazioni dei militanti del Pd, emerge nitidamente che questo sembra essere un assunto tutt’altro che scontato. In altri termini, moltissimi tra iscritti ed elettori pensano che la laicità costituisca una premessa essenziale: e ritengono necessario che i candidati alla segreteria si pronuncino inequivocabilmente in quel senso. Se tale richiesta è diventata così incalzante è perché corrisponde ad una raggiunta maturità. La laicità di cui si chiede la tutela, infatti, non ha alcuna parentela con l’anticlericalismo classico e tanto meno con una professione di fede o con la sua negazione. Insomma, le questioni, sciaguratamente definite “eticamente sensibili”, non rimandano ad un dibattito teologico o a una disputa filosofica. Teologia e filosofia sono, sì, sullo sfondo, ma il cuore della controversia è tutto calato nella materialità della vita quotidiana e nella ruvidezza dei dilemmi che essa ci pone. In altre parole, qui non si discute di Dio bensì dell’esistenza reale delle persone reali, in carne e ossa, desiderio e sofferenza. Qui si manifesta il bisogno irriducibile della persona, posta di fronte alla propria “nuda vita”, di compiere le proprie scelte indipendentemente da qualunque vincolo (religioso o morale o statuale) che non sia stato liberamente accolto. Dunque, il paradigma della laicità richiama il diritto all’autodeterminazione. Alla sovranità su di sé e sul proprio corpo. Per laicità si intende, pertanto, la libertà dall’interferenza di imperativi esterni comunque motivati, in termini religiosi o normativo-statuali. Per questo, la legge sul Testamento biologico approvata dal Senato segna un crinale: con la norma che impone la nutrizione e l’idratazione artificiali anche contro la volontà del soggetto, la forza dello Stato si fa strumento di una morale di parte e, oggi, presumibilmente minoritaria nella società italiana. Contrariamente a quanto sostenuto da Beppe Fioroni – per il quale la laicità è un non-valore e la sola morale sembra essere quella di ispirazione religiosa - il rifiuto di quella interferenza esterna non è la semplice rivendicazione di una libertà negativa. Bensì l’affermazione di un valore, fondato moralmente. Cari Dario, Pierluigi, Ignazio, cosa ne pensate?

P.S. Incuriosito da alcune recenti distinzioni tra “laico” e “laicista”, ho dedicato 17 ore e tre quarti (non consecutive) a compulsare acribiosamente testi di scienza della politica, sociologia e teologia: infine, stremato, ho potuto constatare che di quella speciosa distinzione non c’è alcuna traccia.

Luigi Manconi    l’Unità 10.7.09