Le tasche della tonaca
Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, fulmina l'inchiesta di Repubblica sui soldi alla Chiesa: un atto di censura intollerabile, a cui è necessario dare una risposta politica appropriata
Che alla Chiesa non piace chi indaga sui loro conti, è cosa nota; del
resto, nessuna azienda parla volentieri dei propri flussi di cassa, salvo quando
è obbligata a farlo da precisi dispositivi di legge. Dal momento che nessuna
legge obbliga il soglio pontificio in tal senso, ogni tentativo di vederci
chiaro viene visto come un'indebita, se non sacrilega, intromissione. Che si
parli di soglio pontificio e non di chiesa cattolica italiana è dovuto al fatto
che il signor Tarcisio Bertone, che ha ingiunto a Repubblica di porre termine al
suo meritorio programma di inchiesta sui finanziamenti pubblici alla chiesa
cattolica in Italia, di mestiere fa, oltre che l'acrivescovo di Genova, il
segretario di Stato vaticano: in altre parole, il primo ministro dell'entità
statale più piccola del mondo.
Non è il caso di difendere l'operato di Repubblica: l'assoluta legittimità del
loro operato è palese, persino ovvia, ed è del tutto pleonastico aggiungere
ulteriori ragioni a quelle, perfettamente espresse dal direttore Ezio Mauro
a cui non resta che ribadire, oltre alla solidarietà, il plauso per quanto fatto
da Curzio Maltese, curatore dell'inchiesta, e dai suoi collaboratori. Va anche
ricordato, come sottolinea lo stesso Mauro, che la durissima reazione di Bertone
non ha nulla della smentita: il nostro si è limitato a esprimere il proprio
astio, ma non ha potuto confutare nessun elemento e nessuna delle cifre
pubblicate da Repubblica.
La posizione vaticana, insomma, è di una rara trasparenza: non osate guardare nei nostri conti, punto e basta. Nemmeno l'invocazione al generico, e opinabile, effetto benefico dell'operato della chiesa cattolica in Italia può mascherare che l'ingiunzione a fermare le rotative non abbia altro puntello che quello dell'autorità. Un'autorità che pretende di imporre o vietare senza altra ragione che la propria forza, e che si arroga il diritto di censurare unilateralmente, e senza appello, chiunque le pare e le piaccia. Se questo principio assolutista fosse semplicemente espresso da un signore anziano e vestito in modo stravagante che, per ventura e per astuzia, si trovasse a capo di una congrega di seguaci, già sarebbe preoccupante: si pensi alle reazioni che si sarebbero scatenate se a parlare così fosse il fondatore di una setta ufologica, un televenditore di pozioni o, semplicemente, un imam o un esponente di altre religioni.
Ma a rendere necessaria una risposta decisa e ufficiale è il fatto che
Bertone, come già ricordato, fa il ministro in uno Stato che non è quello
italiano, e che non brilla certo per il suo progresso democratico. Ci si trova,
di fatto, in una situazione del tutto analoga a quella delle famose vignette
danesi, in cui le autorità di Paesi esteri (in questo caso, Paesi islamici),
chiedevano ai loro omologhi europei di impedire la pubblicazione di satire
denigratorie; con l'aggravante che in quest'ultimo caso si trattava di
espressioni deliberatamente offensive, che non avevano alcun contenuto di tipo
giornalistico (insomma, non contenevano dati e notizie), mentre Bertone se la
prende con articoli che, se contenessero inesattezze, sarebbero perfettamente
confutabili e potrebbero dare adito a richieste risarcitorie.
Il fatto che così non sia, oltre a rendere la pubblicazione di questo materiale
perfettamente compatibile con la legislazione italiana e con quella di qualsiasi
Paese democratico, rende ancora più chiara la gravità della posizione censoria:
non si tratta, infatti, di voler vietare la diffusione di contenuti offensivi,
ma di cercare di impedire la circolazione della verità. Tutto ciò non può
esaurirsi nell'autodifesa di Repubblica e nella solidarietà di chi sostiene il
diritto alla libertà di stampa, anche al di là del merito dell'inchiesta; a
queste intrusioni nel tessuto democratico italiano da parte di un ministro di
uno staterello totalitario devono rispondere le istituzioni, se ancora vi è un
minimo di dignità in chi le presiede.
Nane Cantatore Aprile online 25 ottobre 2007