Le streghe i giudei
gli zingari
Il fuoco è tornato. Violento e purificatore. Illumina la processione nottambula
dei rancori e dei
pregiudizi. Incenerisce la retorica degli "italiani, brava gente". Divampa nella
neo-lingua italiana,
ormai libera da ogni forma di sorveglianza e di auto-controllo, visto che il
nuovo lessico del trash
televisivo unifica la nazione e le classi sociali. Sputa le sue lingue
incandescenti sull'uomo nero e
sulla sua intera etnia: rom, rumeni, sinti, tutti assunti a fattispecie
lombrosiana di quella
antropologia criminale con la quale abbiamo inzuppato immaginario e senso
comune. Ecco dunque
il fuoco che condanna all'esorcismo e alla cenere quella macchia extra-umana,
quello "zingaro ladro
di bambini" che risorge come un antico rimosso nello spigolo sporco della nostra
più malata
modernità. Eccolo il Medioevo che avanza, corredato da Internet e da You Tube,
mentre
l'establishment tutto finge di non vedere. Eccola la legalità bipartizan che
osserva imperturbabile
l'opera scientifica di pulizia etnica messa in campo dagli eserciti camorristi
nello sterminato
hinterland partenopeo. Complimenti all'Italia riconciliata nel galateo
parlamentare, dove si celebra
non tanto la fine della "guerra civile" simulata che ha reso urlata e viscerale
la politica al tempo
dell'avvento di Berlusconi, ma dove si rende solenne l'esaurimento forzoso della
politica come
spinta conoscitiva e trasformatrice degli assetti sociali dominanti, dove si
canta il de profundis alla
politica intesa come alternativa, passione civile, persino utopia. E anche della
politica intesa come
discernimento individuale e memoria collettiva: potremo raccontare a qualcuno
dei nostri figli,
magari quelli con la testa rasata, magari quelli appesi sull'altalena di piccoli
miti miserabili che
miscelano lo stadio di oggi e il lager di ieri, cosa accadde quando, neppure
troppo tempo fa, altre
squadre giovanili, altre ronde di giustizieri, cercarono di "derattizzare" la
bella Mitteleuropea dalle
untuose presenze degli zingari? Sapremo dire che l'industria dell'orrore fu
alimentata dalle parole
cattive, dalle facili superstizioni, dall'ignoranza diffusa? Sapremo dire di
quelle tribù nomadi che,
con le loro leggende e i loro cammini di libertà, con gli echi gitani o
balcanici dei loro suoni e delle
loro poesie, conobbero il gelo dei vagoni piombati, e poi cominciarono un
viaggio senza ritorno, e
poi fecero la doccia nelle camere a gas, e poi finirono su per il camino dei
forni? Duecentomila
morti tra quei nomadi che la croce uncinata strappò dai villaggi. Non c'è più
nessuno che capisca
che stiamo toccando il fondo? Nessuno che alzi la voce contro chi umilia la vita
degli altri? Questa
inaudita legittimazione "politica" dell'intolleranza non sarà solo una livida
girandola di violenza
anti-rom, ma diventerà la cifra di un tempo nuovo e assai inquinato, di
un'atmosfera mefitica e cupa,
dove ciascuno potrà appiccare il suo rogo personale, perché non c'è nulla di più
facile che offrire
alla folla inferocita un povero cristo da crocifiggere, un capro espiatorio il
cui sacrificio non risolve
alcun problema ma almeno sazia la sete di sangue che non abbiamo mai del tutto
estinto. Altro che
galateo. Non si è più in grado di vedere il respiro di un bambino dentro
l'immagine di un piccolo
rom, non c'è analisi possibile di problemi complessi, non c'è più neanche pietà.
Anche la Chiesa
appare prigioniera delle proprie prudenze. Non c'è nessuno che asciughi le
lacrime di uno zingaro
dopo che gli abbiamo bruciato la baracca spingendolo ad un nuovo esodo verso il
nulla. Siamo
ancora alla prese con eretici e streghe e sodomiti e giudei, ancora abbiamo
bisogno di celebrale
l'igiene del mondo, ancora subiamo il fascino del fuoco. Nel nome di una
legalità affidata alla
polizia speciale della camorra. Siamo camorristi ma legalitari, questa non è il
nazi-decoro borghese
di Verona, questa è la Napoli che fu la capitale dell'accoglienza e
dell'umanità. Sta bruciando un
intero mappamondo di sentimenti, di valori, di cultura, di coscienza: tutto
sembra trascinato in quei
fuochi notturni. Altro che sconfitta elettorale. Siamo senza radici in questa
immensa babele di
monnezza e cenere, dinanzi a riti di purificazione e violenza che suscitano il
plauso populista. Forse
è anche questo il deserto che dovremo attraversare.
Nichi Vendola Liberazione 17 maggio 2008