LE SPESE OLTRE TEVERE 

Quanto costa la chiesa cattolica allo stato, alla società? Quindi a tutti noi, credenti e non ? Si può porre questo interrogativo di sapore decisamente anticlericale? Sembra di sì, a giudicare proprio dalle notizie degli ultimi giorni. Le cifre pubblicate sono alte, altissime. Anche se le si confronta con le cifre dei vari bilanci dello stato, da quello dei militari a quello dell'istruzione. E' ovvio che si tratta di cifre discutibili, come tutte, d'altronde. Ma non sono discutibili i capitoli, i titoli delle entrate, per così dire, ecclesiastiche: il famoso otto per mille, prima di tutto (con l'aggiunta della percentuale dei moltissimi che non indicano il destinatario) poi lo stipendio degli insegnanti di religione, gli innumerevoli aiuti statali per le varie opere pie, eccetera. E le molte esenzioni fiscali. Una serie di contributi difficilmente identificabili e quantificabili. Una vera cascata di denaro, tanto più notevole in un momento di vacche magre e di diffuse ristrettezze: da queste la chiesa sembra esente. Come mai? La risposta si può trovare nelle vicende della storia italiana, con il suo Tevere sempre più stretto e con le forze politiche che cambiano ma che, più o meno tutte, hanno bisogno di legittimazione e la cercano oltre Tevere. Dove, d'altro canto, si ha bisogno di sostegno per tutte quelle varie «opere» alle quali non basta la fede religiosa: sono necessari i soldi, e in gran quantità. Forse anche per questo motivo l'autorità ecclesiastica non ha elevato forti proteste per le cifre pubblicate in questi giorni: si è limitata a dire che sono un po' esagerate. E ha ripetuto il solito argomento fondamentale, che, cioè, queste somme servono al bene comune, anche quelle destinate al sostentamento del clero. Un argomento che rivela una tesi di fondo: la chiesa si propone più per il bene comune che per la diffusione della fede evangelica e per questo motivo esige un posto ben preciso nell'insieme della società (ultimamente anche nel calcio!). Un posto di primo piano, riconosciuto dalla società e dallo stato. Si perpetua, anche se in forme leggermente mutate, quello scambio che da sempre e più o meno dovunque, segna il rapporto fra la società e la religione. Specie se, come da noi, si tratta di una religione di larga maggioranza. Molto discutibili i vantaggi del do ut des, soprattutto quelli che dovrebbero giovare alla fede religiosa.

 

Filippo Gentiloni       Il manifesto  14/10/07