Le spallate alla
Costituzione
Che effetto fa vivere in un paese dove il presidente del Consiglio dichiara di
voler chiudere il Parlamento? Non lasciamoci rassicurare da chi dice che questa
proposta «cadrà nel vuoto». Non banalizziamo, non derubrichiamo a battuta
occasionale un´affermazione così pesante secondo un costume invalso in questi
anni e che ha portato al degrado del linguaggio e della politica. Le
parole aggressive della Lega sono state un potente veicolo di promozione degli
spiriti razzisti. Lo stillicidio delle dichiarazioni di Berlusconi contribuisce
a distruggere gli anticorpi che consentono ad un sistema di rimanere
democratico. Soprattutto, non isoliamo le ultime affermazioni del presidente del
Consiglio da un contesto ormai caratterizzato da un quotidiano attacco alla
Costituzione.
Si stanno mettendo le mani sulla prima parte della Costituzione, proprio
quella che, a parole, si dice di voler tenere fuori da ogni proposito di
riforma. La legge all´esame del Senato sul testamento biologico viola la libertà
personale e l´autodeterminazione delle persone. Si mettono in discussione la
libertà d´espressione e il diritto dei cittadini ad essere informati con la
legge sulle intercettazioni telefoniche. Si nega il diritto alla salute come
elemento essenziale della moderna cittadinanza quando si prevede che i medici
possano denunciare un immigrato irregolare la cui unica colpa è la richiesta di
cure. Si privatizza la sicurezza pubblica legittimando le ronde, con una
abdicazione pericolosa dello Stato da una delle funzioni che ne giustificano
l´esistenza. Si avanzano proposte censorie che riguardano Internet. Si erodono
le garanzie della privacy per improprie ragioni di efficienza. Si propone una
banca dati del Dna con scarse garanzie per la libertà delle persone.
Non era
mai accaduto che il nostro sistema politico vivesse quotidianamente ai margini
della legalità costituzionale, che si dubitasse della costituzionalità di tutte
le leggi di qualche peso in discussione alle Camere. Si altera così il
funzionamento del sistema istituzionale, e si trasferisce l´intero compito di
garantirne il corretto funzionamento ai "due custodi", il Presidente della
Repubblica e la Corte costituzionale, di cui si accentuano le responsabilità e
la politicità. E si dimentica che proprio la cultura costituzionale segna la
politica e la civiltà di un paese.
Distogliamo per un momento lo sguardo dalle nostre lacrimevoli vicende, e
rivolgiamolo agli Stati Uniti. Barack Obama non sta soltanto liberando il
suo paese da inammissibili vincoli, come quelli sul divieto del finanziamento
pubblico alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, mostrando come sia
possibile e necessaria una politica lungimirante e svincolata da ipoteche
fondamentaliste. In un documento indirizzato a tutti i responsabili
dell´amministrazione federale, Obama ha scritto che, «esercitando la mia
responsabilità nel decidere se una legge sia incostituzionale, agirò con
prudenza e misura, basandomi unicamente su interpretazioni della Costituzione
che siano solidamente fondate». Qui è evidente l´imperativo di allontanarsi
dalle pratiche lesive dei diritti dell´amministrazione Bush, proprio per
ricostituire quegli anticorpi democratici la cui distruzione stava minando la
coesione interna e la stessa credibilità degli Stati Uniti.
Quale distanza, quale abisso ci separano da questa volontà di ridare la bussola
costituzionale al funzionamento dell´intero sistema politico, e quale deriva ci
sta travolgendo proprio perché stiamo abbandonando quella bussola. Grande,
allora, diviene la responsabilità della cultura che si cimenta proprio con il
tema della Costituzione, e con il modo in cui oggi si deve guardare ad essa.
Le reazioni, gli atteggiamenti sono diversi. Si è diffidenti verso una difesa
della Costituzione che sembra fine a se stessa, che non tiene nel giusto conto
la dimensione della politica. Che è preoccupazione giusta a condizione, però,
che la sacrosanta invocazione di una politica non più latitante abbia quei
solidi fondamenti che, per le ragioni appena accennate, debbono essere trovati
proprio nei principi costituzionali. Oggi più che mai abbiamo bisogno di una
politica "costituzionale".
Della legittimità stessa di questa politica si dubita quando si mette in
evidenza che proprio la prima parte della Costituzione, quella delle libertà e
dei diritti, è segnata da un inaccettabile statalismo, dall´accentuazione di una
funzione protettiva delle istituzioni pubbliche che apre la porta alle
tentazioni stataliste. È singolare, o rivelatore, il fatto che questo
atteggiamento ritorni proprio nel momento in cui i guasti enormi della economia
deregolata hanno fatto emergere una imperiosa richiesta di regole. Disturba, ad
esempio, il fatto che si adoperi la parola "tutela" quando ci si riferisce alla
salute. Eppure proprio negli Stati Uniti, nella materia della salute, si è
verificato un gigantesco fallimento del mercato e la riforma del sistema è un
punto chiave del programma di Obama.
Si torna, poi, a ripetere che la nostra Costituzione dovrebbe essere modificata
perché non dà spazio adeguato al riconoscimento del mercato. Che cosa dovrebbe
dire, allora, la Germania la cui costituzione parla di una proprietà il cui «uso
deve servire al bene della collettività»? La verità è che rimane forte il
fastidio per un contesto che vuole il mercato rispettoso dei diritti
fondamentali. In Italia si è arrivati a proporre l´abrogazione dell´articolo 41
della Costituzione, che stabilisce che l´iniziativa economica privata «non può
svolgersi in contrasto con l´utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Statalismo o soglia minima di
civiltà?
La spallata berlusconiana al Parlamento nasce in tempi di
costituzionalismo debole e ha come fine, insieme alla cancellazione del sistema
parlamentare, l´azzeramento delle garanzie, lo smantellamento del sistema dei
diritti.
Stefano Rodotà Repubblica 12.3.09