Le risposte negate di Benedetto XVI
Un discorso impegnativo
quello di Benedetto XVI ad Auschwitz-Birkenau, ma privo di grandi novità.
Impegnativo sia per la tragicità del luogo che per il tono solenne che il papa
ha voluto dare alla sua presenza nel campo di sterminio.
Nel 1979 già Giovanni Paolo II vi aveva sottolineato la
presenza della cattolica Polonia e la condanna dell'antisemitismo.
Un discorso più arduo, e anche più commovente, per il papa
tedesco: una partecipazione certamente più sofferta.
Ma sulla shoah (il papa ha usato questo termine) le
posizioni cattoliche ufficiali sono state ripetute, senza sostanziali
correzioni. Della tragedia è responsabile un gruppo di criminali, non il popolo
tedesco.
Quindi non il cattolicesimo tedesco che viene ricordato,
come al solito, per i suoi eroi e le sue vittime (Padre Kolbe, Edith Stein), non
per la sua comune partecipazione alla colpa collettiva.
Proprio quella colpa che la storiografia più moderna tende,
invece, a sottolineare.
Il papa ha inoltre voluto, ancora una volta, anche nel
tragico contesto del campo di sterminio, accostare le due dittature.
La presenza di vittime russe, ha detto, ci fa riflettere
«sul tragico duplice significato della loro missione: liberando i popoli da una
dittatura, dovevano servire anche a sottomettere gli stessi popoli a una nuova
dittatura, quella di Stalin e dell'ideologia comunista».
Ma il papa ha anche rinnovato la domanda più tragica :
«Dio, dove eri?». Da Giobbe ad oggi i credenti se lo chiedono di fronte al male,
non soltanto quello di Auschwitz. E, onestamente, accettano di non conoscere una
risposta.
Così anche il papa: «In definitiva dobbiamo rimanere con
l'umile ma insistente grido verso Dio».
Era però logico che non pochi commentatori di fronte alla
domanda difficile su dove fosse Dio, domanda senza risposta, chiedessero invece
risposta alla domanda più facile: dove era Pio XII?
Anche dopo la visita di Benedetto XVI al campo di
sterminio, dunque, rimangono gli interrogativi sul comportamento delle autorità
cattoliche in quegli anni.
Interrogativi che una certa ripresa di antisemitismo
cattolico proprio in Polonia certamente non aiuta a dimenticare.
Un'altra riflessione è inevitabile dopo quella solenne
cerimonia: rito di preghiera e di penitenza non soltanto cattolico ma
interreligioso.
Così doveva essere e così è stato, almeno in apparenza.
In realtà il rito è apparso in prevalenza fortemente
cattolico. I rappresentanti delle altre fedi sono apparsi assolutamente in
secondo piano: così i protestanti, gli ortodossi, i musulmani, ecc.
Il papa di Roma assolutamente al centro.
Ma la vera interreligiosità non richiede la autentica
parità dei partecipanti ?
La cerimonia di ieri appariva più come una esaltazione del
papa che come una celebrazione della vera eguaglianza fra le varie fedi e della
loro confessione comune di colpa.
Un altro episodio di quella «papolatria» che sta dilagando
in Polonia e anche in Italia.
Una esaltazione del cattolicesimo che è apparsa tanto più
stonata proprio perché celebrata là dove le principali vittime, quasi tutte, non
erano state né cristiane né cattoliche ma ebree, mentre cristiani , anche se
poco convinti, erano stati i carnefici.
Un altro colpo a quelle presunte «radici cristiane
dell'Europa» che non pochi, compreso il papa, vorrebbero recuperare ed esaltare.
Un'altra faccia dell'antico e intramontabile antisemitismo.
Filippo Gentiloni Il manifesto 30/05/2006