Le pietre papali sull'Islam
Dibattito. Il discorso del pontefice in Germania è, dopo anni passati a
disinnescare il conflitto di civiltà, soprattutto un esercizio di
irresponsabilità
E’
stupefacente. Il Papa, la massima autorità della più importante e numerosa fede
cristiana, insulta l’Islam e il profeta Maometto. E non con alcune vignette
satiriche, come quelle pubblicate un anno fa in Danimarca che provocarono
l’indignazione del mondo islamico, ma dall’alto della cattedra di una “lectio
magistralis” nella sua antica università a Regensburg.
Cosa ha detto Benedetto XVI? Ricordiamolo. Citando Manuele II Paleologo,
imperatore di Bisanzio del XIII secolo, ne fa proprio il giudizio sul profeta
dell’Islam quando, rivolto al suo interlocutore persiano, l’imperatore dice:
“Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto
delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo
della spada la fede che egli predicava”.
Sì, ammette il Papa, Manuele II è stato un po’ “brusco” e “pesante”, ma si
guarda bene dal criticare la sostanza del giudizio o di qualificarlo o
storicizzarlo. Lo lascia lì per il resto del suo lungo discorso a bruciare nelle
orecchie di qualsiasi mussulmano: non solo l’accusa all’Islam di usare la spada
per propagare la fede – quello è soltanto un esempio – ma in genere il fatto che
in quella religione non vi siano che “delle cose cattive e disumane”.
Il portavoce vaticano Federico Lombardi ha cercato di correre ai ripari
sostenendo che Ratzinger non voleva assolutamente offendere i mussulmani, ma
soltanto criticare l’uso della violenza nella fede. Sta di fatto che il Papa
questa critica l’ha rivolta soltanto all’Islam e si è guardato bene dal
ricordare che la sua religione, quella cattolica romana, si è resa responsabile
nei secoli infinite volte proprio del peccato di avere sostenuto (o imposto) la
fede con la spada: con le crociate, con l’Inquisizione, con le guerre di
religione, con le stragi dei catari, dei valdesi e degli anabattisti, con le
conversioni forzate in America latina.
Una Chiesa che si professa eterna e un pontefice che sostiene di sedere sullo
stesso soglio che fu di Pietro non può fare finta che tutto ciò non sia avvenuto
e riguardi qualcun altro. Che si tratti soltanto di una disputa teologica. Ben
altro senso della storia e, diciamolo pure, dell'umiltà cristiana aveva mostrato
Giovanni Paolo II quando, ripetutamente, chiese perdono agli ebrei per le
persecuzioni loro inflitte e ai mussulmani per le crociate. Ratzinger invece,
tutto preso nella sua dissertazione teologico-filosofica si è anche dimenticato
il giudizio che gli storici unanimemente hanno dato dell’Islam, come di una
religione che, una volta insediatasi nel bacino del Mediterraneo, ha dato prova
nei secoli di ben maggiore tolleranza e rispetto nei confronti delle altre
religioni, l’ebraica e la cristiana, della Chiesa cattolica.
Comprensibilmente, le parole del pontefice hanno suscitato l’indignazione e le
proteste di tutto il mondo mussulmano, sciita e sunnita, arabo e asiatico,
europeo e africano: dal Marocco al Pakistan, al Kuwait, alla Germania, alla
Francia alla Palestina e alla Turchia, dove era in programma un viaggio del
pontefice a novembre, che probabilmente sarà annullato. Tutti – dai
fondamentalisti ai moderati, dagli integralisti ai dialoganti – si sono
dichiarati offesi e hanno chiesto le scuse di Roma.
Un bel risultato, di cui proprio non si sentiva il bisogno. In questi anni di
morti e di distruzioni in Medioriente ciò che ha pesato di più sulla coscienza
dei mussulmani, provocando un senso di offesa e di umiliazione, è stata la
percezione che le guerre irachena e afghana, i carceri e le torture, le offese
al Corano e le vignette satiriche, fossero la manifestazione di una più generale
guerra dei cristiani contro i mussulmani: una crociata. Da ambo le parti le
persone ragionevoli di tutte le fedi e convinzioni politiche hanno cercato di
disinnescare questa minaccia, di isolare gli estremisti, di allontanare con il
dialogo e il rispetto reciproco lo spettro dello scontro di civiltà. Nel mondo
cristiano e in quello mussulmano si sono levate voci per la moderazione, per
tenere la religione fuori dalla contesa.
Non così papa Ratzinger. Già appena divenuto pontefice aveva colpito il gesto
singolare con cui aveva ricevuto, facendo fare anticamera al re di Spagna Juan
Carlos, l’estremista anti-islamica Oriana Fallaci. E subito dopo aveva ricevuto
il capo dei lefebvriani francesi, espressione dell’ala più conservatrice del
cattolicesimo. Già a Colonia, l’anno scorso, in occasione della giornata della
gioventù cattolica, aveva preso le distante dall’ecumenismo del suo predecessore
fissando una gerarchia di religioni nella quale prima viene il cattolicesimo,
poi le fedi cristiani, poi l’ebraismo e da ultimo, molto lontano, l’Islam.
Martedì a Regensburg ha rincarato la dose. Ha parlato del Dio di Maometto come
di una divinità “assolutamente trascendente”, non legato né alla morale né alla
ragione, di fatto un dio pagano, irrazionale, che se volesse potrebbe imporre
agli uomini l’idolatria. “Il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato
come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro
favore”. Inutile dirlo, si tratta del Dio nato dalla sintesi tra messaggio
cristiano e filosofia greca; qui si parla non del Dio di Abramo (comune a tutte
e tre le religioni monoteistiche), ma di quello di una sola, quella cattolica
che trapiantata nella Roma imperiale è diventata romana e “rimane il fondamento
di ciò che, a ragione, si può chiamare Europa”. (Con buona pace della
Costituzione europea, che non ha voluto accogliere nel suo testo il riferimento
alle “radici cristiane”.)
Opinioni di un teologo, rispettabili come tante altre. Peraltro neppure molto
originali, dal momento che si ritrovano sostanzialmente in qualsiasi manuale di
storia e cultura per i licei, là dove si parla dell’incontro tra tradizione
giudaico-cristiana e filosofia greca. Ma Benedetto XVI non è un liceale e
neppure soltanto un teologo, ma il capo della Chiesa cattolica e dello Stato del
vaticano. Le sue parole, irresponsabilmente scagliate dal pulpito di Regensburg,
possono diventare pietre. Speriamo solo che non vengano raccolte da qualche
fanatico per alimentare proprio quella versione di “jihad” sostenuta dallo
stesso Ratzinger. Sarebbe, come dicono gli scienziati, un bell’esempio di
profezia autoverificantesi.
Solo due parole sulla sostanza del discorso di Ratzinger, che per buona parte
tratta del rapporto tra scienza, ragione e fede. Qui, bisogna dirlo, gli
scienziati direttamente chiamati in causa per “avere espunto Dio dalla scienza”
hanno dimostrato notevole autocontrollo. Si poteva ricordare il processo a
Galileo, Giordano Bruno, Pico della Mirandola, o il “giuramento antimodernista”
ancora oggi imposto ai laureati nelle università cattoliche. Ci si è limitati ad
osservare che la fede in Dio per gli scienziati di qualunque ramo, credenti e
non credenti, non ha e non deve avere alcun ruolo nel loro lavoro, altrimenti
sarebbero pessimi scienziati. Per un biologo o uno studioso della nuova
disciplina della genetica evoluzionista la forma temperata di creazionismo
propugnata da papa Ratzinger, il cosiddetto “disegno intelligente”, è pura
superstizione. Per parte nostra aggiungiamo che il “logos” ratzingeriano è cosa
assai diversa dalla “Vernunft” kantiana e, certamente, dal “ragionamento”
scientifico e matematico, del quale il dotto pontefice non sembra avere alcuna
conoscenza.
Stefano Rizzo AprileOnLine n.225 del 16/09/2006