Le parole sono
pietre
Una interpretazione molto alienante e superficialmente consolatoria del Vangelo che è tornata in auge: "Gli ultimi saranno i primi" ma dopo la morte. Il messaggio cristiano serve per far passare una idea rassegnata e indiscutibile di ineguaglianza "naturale".
Il carattere eversivo del governo appare anche dalle parole
che mette in circolazione e dal tipo di comunicazione politica che diffonde,
tutta sopra tono e imprecisa, allusiva: manda "avvertimenti".
Parte dell'opposizione lo copia e parte sembra la mangusta affascinata dal
cobra, ripete stanche sorprese che non sorprendono più nessuno e si lascia
trascinare nello stesso discorso.
Avete sentito il ministro Ombra dell'Interno Minniti: attacca Maroni solo per
chiedere più polizia; e Veltroni, anche se servito di presenze televisive quasi
scandalose, dice impacciate frasette senza prospettiva. Di Pietro fa da cassa di
risonanza e gareggia.
Se non si riesce a riprendere parola in modo autonomo distinto differente,
antagonistico, il guaio è grosso. E per essere antagonisti, adesso che il
governo è eversivo, bisogna stare nella legalità anche della comunicazione. Va
bene l'ironia il sarcasmo la critica motivata l'indignazione, l'entusiasmo
morale, la citazione dei testi costituzionali e di legge, e un tessuto
linguistico che aborra la pessima retorica governativa.
Gli antichi che avevano pochi mezzi e un pubblico molto scarso dato che gli
alfabetizzati erano una infima minoranza, di cui le donne non facevano parte
quasi in blocco, dovevano puntare sulla parola e ne avevano esaminato con cura
la tecnica; i cristiani addirittura adopravano la pittura per farsi capire dagli
analfabeti, se la pittura di Giotto venne chiamata Bibbia dei poveri.
Ma, in breve, gli antichi fino a tutto il Rinascimento e più in là distinguevano
vari tipi di linguaggio, dicevano che la poesia "rappresenta", la filosofia (e
la scienza) "dimostra" e l'oratoria "persuade".
I tre linguaggi non dovevano essere mescolati. La poesia secondo gli antichi
aveva la straordinaria facoltà di rendere presente una cosa anche lontana o
inventata; la filosofia o la scienza usano un linguaggio reso costrittivo dalle
regole del ragionamento e della logica: alla fine del teorema di Pitagora non si
può dire "non sono d'accordo"; si può dire solo "va bene, è così" oppure "non ho
capito". Ma l'oratoria, cioè il parlare politico persuade, ovvero mira ad
ottenere il consenso, facendosi capire dagli ascoltatori e conducendo la ragione
e il sentimento ad accogliere nel profondo il messaggio che l'oratore invia.
Naturalmente se l'oratore è un demagogo, invece che persuasione, c'è seduzione,
cioè una cattura non razionale.
Più di recente abbiamo appreso che la persuasione o consenso modifica attraverso
l'uso di termini linguaggi motti ecc. le sinapsi del nostro cervello: in questo
modo attraverso consenso e costruzione di immagini linguaggio motti ecc., si
forma una cultura politica. Faccio alcuni esempi: aver chiamato "suffragio
universale" il diritto di voto di tutti e solo i maschi, ha tagliato fuori le
donne addirittura dal discorso, dalla narrazione politica. Chiamare "poveri" gli
impoveriti e impoverite rende la loro condizione un fatto naturalistico e non
l'effetto di una politica economica che li e le ha rese più poveri/e di quanto
non fossero. Non aver voluto fare una legge per la pensione alle casalinghe, ha
consentito al governo di usare l'assegno sociale per impoverire ulteriormente
gli e le immigrate; e ora con la indecente "correzione" il governo rivela che in
verità la legge è fatta apposta perché non ne fruiscano i migranti, cioè è una
legge discriminatoria. E come si pensa di accrescere la sicurezza riducendo una
parte della popolazione alla fame alla disperazione? Con più polizia, dice
Minniti, sciaguratamente. Insisto su questi esempi per dire che dal Pd ci separa
ormai una cultura un linguaggio, ed è una lontananza grande.
Anche perché se si parla di "poveri" e di "ultimi", si sa che si sta usando un
linguaggio cristiano nella sua accezione preconcilare (se ci si riferisce alla
tradizione cattolica) e alienante: i poveri vengono lodati perché poveri, e si
dice che li avremo sempre con noi. Una interpretazione molto alienante e
superficialmente consolatoria del Vangelo che è tornata in auge dopo la breve
parentesi del Concilio fa sì che si venga indotti a pensare che alla povertà non
c'è rimedio, né si oppongono diritti, ma solo attenuazione conforto beneficenza
assistenza, cioè concessioni. E che -dando una interpretazione al massimo
spiritualistica- il rimedio è nell'aldilà. "Gli ultimi saranno i primi" ma dopo
la morte. Il messaggio cristiano serve per far passare una idea rassegnata e
indiscutibile di ineguaglianza "naturale".
Credo che sbagliamo a non prendere più in considerazione i testi marxiani
e di Engels sulla religione. Marx non dice solo che è l'oppio dei popoli (da
scacciare con la laicità, dice anche con grande intelligenza e finezza analitica
che è "il sospiro della creatura oppressa" cui predica rassegnazione e
alienazione, alla quale la chiesa cattolica fornisce conforto consolazione (e
beneficenza subentrando allo stato che non è più sociale e non garantisce i
diritti). È tempo di fare una vera lotta culturale in proposito,
visto che la religione (non la fede), diciamo l'Altare sta avendo un grande
rilancio proprio come alleato dei vari Troni esistenti (che per lo più si
chiamano poteri forti). E anche la famiglia deve essere riconsiderata con
argomenti solidi e precisi: per ostacolare il suo rilancio nella forma più
tradizionale, come si vede anche nel tenace rifiuto di qualsiasi normativa che
non sia quella della famiglia detta "naturale". C'è molto da discutere e da
innovare.
Lidia Menapace in “italialaica.it” del 31
luglio 2008