Le parole di questo Papa,
il coraggio di quei preti
Caro Cancrini, mi occupo di promozione della sicurezza in edilizia e ho
apprezzato il suo articolo del 16 giugno. Le segnalo però, nella condivisione
delle sue osservazioni, che l’attacco frontale al Papa contenuto nella seconda
parte non aggiunge incisività all’articolo, ma tocca la sensibilità profonda di
chi, come me, lo ritiene un riferimento religioso significativo. Nella mia
trasmissione tv regionale ho mandato in onda un intervento del Papa contro gli
infortuni sul lavoro; rispetto le sue convinzioni ma le chiedo di rispettare
quelle dei credenti sul giornale che è riferimento per tutto il Pd. Cordiali
saluti
Antonio Ghibellini
Mi rendo benissimo conto del fatto, caro Antonio, che il mio parlare con tanta
franchezza della politica attuale del Vaticano può irritare chi nell’autorità
morale del Vaticano si riconosce. Quello che vorrei dirle, però, è che il mio
discorso tutto è tranne che un discorso antireligioso o anticlericale. Tempi
come questi in cui sembra che del papa si possa parlare solo in modo agiografico
chiedono anche a chi ha rispetto autentico per il Vangelo e per la parola di
Gesù giudizi basati sulla chiarezza e sulla onestà intellettuale: senza inutili
contorcimenti.
Partirò, per spiegarle il senso di una posizione che non è soltanto mia, dai
giorni della morte di Papa Wojtyla. La commozione che prese tutti, in quei
giorni, contagiò anche me che tutto sono altro che anticlericale come ben sanno
i sacerdoti con cui ho lavorato e ragionato per tanti anni da uomo di sinistra
impegnato nei servizi e nella politica dei servizi. Insieme alla mia famiglia ho
passato così, nella grande piazza di San Pietro, le ore necessarie ad arrivare
alla cappella dove si rendeva l’ultimo saluto ad un Papa che aveva fatto, con
grande coraggio, scelte difficili e giuste. Condannando apertamente le guerre
preventive da cui il mondo continua ad essere insanguinato oggi e riproponendo
la pace come valore da mettere al primo posto da tutti coloro che si richiamano
ai valori cristiani dell’Occidente. Coerente con l’idea, già sviluppata in
precedenza, di modificare alcuni aspetti più discutibili della liturgia (il
richiamo ad Deus Sabaoth, Dio degli eserciti, nel momento chiave della Santa
Messa, le scuse agli ebrei e al coraggio di Galilei), quel Papa affermò
solennemente allora, di fronte al mondo intero, l’idea per cui la guerra non è
la strada più adatta per risolvere i problemi del mondo e per esportare una
democrazia contraddetta dal pensiero stesso di chi vuole imporla agli altri.
All’interno, il tutto, di una scelta ecumenica reale, capace di parlare al cuore
di tutte le comunità religiose: cercando i valori comuni delle grandi religioni
monoteiste e tentando di riaprire il dialogo con le chiese cristiane che non si
riconoscono nel Vaticano. Con un rispetto per i suoi interlocutori che la Chiesa
romana non aveva mai dimostrato dai tempi del Concilio di Trento, quando
richiamandosi al condannò come una eresia (da perseguire con l’Inquisizione) la
scelta di chi cercava di capire quello che è giusto direttamente (senza la
mediazione del prete) nel Vangelo e nella parola di Gesù.
Il modo in cui papa Ratzinger ha rinnegato, su questi due punti fondamentali, le
posizioni del suo predecessore è sotto gli occhi di tutti: anche se in pochi ne
parlano apertamente.
Dal punto di vista della politica internazionale passare dalla condanna delle
guerre preventive ad una condanna continuamente sottolineata del "terrorismo" ha
significato un allineamento, semplice e diretto, alle tesi di Bush. I nemici
dell’America e dell’Occidente sono dei terroristi che agiscono in nome del Male.
Quella che si combatte in Iraq e in Afghanistan è una guerra (Crociata?) contro
il Male benedetta dal papa di Roma. L’abbraccio di questi giorni a Roma fra i
due grandi “leader” (così li ha definiti un telegiornale attento al ruolo vero
del papa in questa fase) altro non è che l’esito naturale di un avvicinamento di
posizioni politiche che vedono nell’uso della forza contro i cattivi la
soluzione ai problemi del mondo. Dall’interno di una posizione teorica che ha
cambiato nettamente quella assunta dal Papa precedente anche sul piano della
dottrina: riproponendo la Chiesa di Roma (e se stesso) come il depositario di
una Verità che Dio (il Dio di Gesù) avrebbe svelato solamente alla Chiesa (e
dunque a lui) il papa di oggi ribadisce contro le altre chiese cristiane i
valori (per lui fondamentali, ma di fatto assai discutibili e discussi
soprattutto da chi in Gesù crede) del catechismo, riafferma (da Ratisbona) la
"superiorità" dei valori cristiani su quelli musulmani, chiude o rende più
difficile il dialogo con la comunità ebraica e ripropone, con la condanna forte
di quelli che lui chiama "relativismi", la posizione di un potere religioso che
deve vigilare sul pensiero e sulla ricerca scientifica.
Più vicino a noi e alle cose italiane, il papa di Roma è quello che, in campagna
elettorale, ha rimproverato pubblicamente, a sorpresa e con ampia eco sulla
stampa e in Tv, il sindaco di Roma ed i presidenti di provincia e regione di
centro sinistra ed ha accolto poi trionfalmente e da amico l’uomo (il grande
nostro attuale presidente del Consiglio) la cui moralità indiscussa trionfa
presso l’opinione pubblica di tutto il mondo ma che ha l’intelligenza
(l’astuzia) di promettere al papa, oltre ad una difesa a tutto campo delle sue
posizioni in tema di aborto e fecondazione assistita, il mantenimento delle
condizioni di privilegio in cui lavorano oggi in Italia la Università e gli
ospedali religiosi (gli ospedali più ricchi e più sicuri del mondo, gestiti con
criteri privatistici e interamente pagati dal pubblico) e, soprattutto, un
finanziamento finalmente congruo delle scuole private cattoliche. Di fatto
ritornando (questa almeno è la mia opinione) a scelte che ricordano quelle
contestate quasi cinquecento anni fa da Lutero sul primato dei ragionamenti
basati sui soldi e sul potere su quelli etici legati al giudizio sui
comportamenti degli uomini.
Ci sono preti meravigliosi anche in questo nostro tempo, caro Antonio. C’è il
don Peppino Diana splendidamente raccontato da Saviano in Gomorra o il don
Puglisi splendidamente celebrato nel film di Faenza. A loro una Chiesa ed un
papa che credono nella parola di Gesù dovrebbero guardare, a mio avviso, anche
nel momento in cui parlano di santi o di esempi da seguire. Proponendo come
testimonianza del discorso di Gesù una visita nei centri della terra di Gomorra
o nei Cpt in cui uomini, donne e bambini sono rinchiusi per mesi e per anni
scontando la colpa di chi fugge dalla povertà e dalla fame. Lasciando perdere i
potenti della terra e cercando l’incontro con quegli ultimi che Gesù chiamò
beati promettendo loro la vicinanza del suo amore.
Luigi Cancrini l’Unità 23.6.08