Le oligarchie dei
"giri" che infettano la democrazia
Tra tutti i regimi politici, la democrazia è quello che più si presta a generare
e mimetizzare
oligarchie. Oggi, questa tematica è trattata parlando di caste. Nessuno, credo,
pensa alle caste
indiane o ai mandarini cinesi. Ogni sistema castale comporta stratificazioni
sociali per piani
orizzontali paralleli, sovra- e sotto-ordinati, più o meno impermeabili. A
ciascuno di questi piani
corrispondono stili di vita, gusti, culture, letteratura, musica, teatro, talora
lingue, abitudini
alimentari, leggi particolari. Oggi, nulla di tutto ciò. Le oligarchie odierne,
in società di individui
sciolti da appartenenze e liberi di fare di sé quel che vogliono e di legarsi a
chi vogliono, si
costruiscono, si modificano e si distruggono su moti circolari ascendenti e
discendenti dove tutti si
confondono. Per comprendere la differenza, occorre partire da un po' più
lontano, dal conflitto tra
chi appartiene e chi non appartiene a un qualche «giro» o cerchia di potere.
Intendo con questa espressione – il giro – esattamente ciò che
vogliamo dire quando, di fronte a sconosciuti dalla storia,
dalle competenze e dai meriti incerti, o dai demeriti certi, i quali occupano
posti inconcepibili per
loro, ci domandiamo: a che giro appartengono? I giri sono la nostra
costituzione materiale. Ci si
scambia protezione e favori con fedeltà e servizi. Questo scambio ha
bisogno di "materia".
Occorre disporre di risorse da distribuire come favori; per esempio: danaro e
impieghi, carriere e
promozioni, immunità e privilegi. Occorre, dall'altra parte, qualcosa da offrire
in restituzione: dal
piccolo voto (il voto «di scambio»), all'organizzazione di centinaia o migliaia
di voti che si
controllano per ragioni di corporazione, corruzione e criminalità, fino alle
prestazioni personali o
per interposta persona, oggi soprattutto per sesso interposto. L'asettico
«giro» in realtà è una cloaca
e questo è il materiale infetto che trasporta.
Qual è la forza che lo muove? Poiché la protezione e i favori
stanno su e la fedeltà e i servizi giù,
dietro le apparenze di allegre comunelle e della combutta innocente, si annidano
sopraffazione e
violenza. Distribuendo favori, può sembrare un sistema benefico, una forma di
democrazia come
potere per il popolo. Ma non è così. Ognuno vede nell'altro solo risorse da
sfruttare. Ogni giro è un
crogiolo di rivalità e ferocia e di gradini, da pestare per salire più in alto.
Sul più alto e su quello più
basso troviamo solo arroganza e solo servilismo. Sugli intermedi si è
arroganti con i sottoposti e
servili con i sovrapposti e mano a mano che si sale o si scende cambia il
rapporto tra arroganza e
servilismo. Padroni e servi, a tutti i livelli del giro, sono legati da patti,
ma patti tra complici. La
fedeltà ai patti è garantita da favori e minacce, blandizie e intimidazioni e
ricatti. Quando nello
scambio entrano anche organizzazioni criminali, non è esclusa la violenza.
Non pochi delitti politici
nel nostro violento Paese si spiegano così.
Dove si alimenta la forza che alimenta i giri? Nella
disuguaglianza e nell'illegalità. Essi, i giri, tanto
più si diffondono quanto maggiore è il malessere sociale e quanto meno le leggi
valgono
ugualmente per tutti. Tanta più insicurezza e ingiustizia, tanto più richiesta
di «patronato»; tanto più
patronato, tante più violazioni della legge uguale per tutti. La
democrazia, mancando uguaglianza e
legalità, diventa una dissimulazione di sistemi di potere gerarchici, basati
sullo scambio ineguale di
favori tra potenti e impotenti, e sulla generalizzata illegalità a favore di chi
appartiene a oligarchie.
Una violazione che può essere la semplice, e apparentemente innocente,
raccomandazione o
diventare associazione a delinquere secondo il codice penale.
Questa struttura mai come oggi è stata estesa, capillare,
omnipervasiva. Se solo per un momento
potessimo sollevare il velo ed avere una veduta d'insieme, resteremmo
probabilmente sbalorditi di
fronte alla realtà nascosta dietro la rappresentazione della democrazia.
Catene verticali di potere,
quasi sempre invisibili e talora segrete, legano tra loro uomini della politica,
delle burocrazie, della
magistratura, delle professioni, delle gerarchie ecclesiastiche, dell'economia e
della finanza,
dell'università, della cultura, dello spettacolo, dell'innumerevole pletora di
enti, consigli, centri,
fondazioni, eccetera, che, secondo i propri principi, dovrebbero essere
reciprocamente indipendenti
e invece sono attratti negli stessi mulinelli del potere, corruttivi di ruoli,
competenze, responsabilità.
Realisticamente, si deve tuttavia constatare che non tutto è così, se non sempre
per virtù almeno per
necessità. Innanzitutto, non tutti nelle numerose categorie di soggetti ora
indicati, si prestano alla
logica dei giri. Ma, soprattutto il sistema del patronato e dello scambio di
fedeltà non può essere
universale. Ci sarà sempre chi non può o non riesce a entrarci. Innanzitutto,
per ragioni pratiche. Le
risorse di cui esso deve disporre (posti, finanziamenti, favori) non sono
illimitate. Per quanto si
tenda a estenderle e ramificarle (ad es. con la moltiplicazione dei posti in
enti inutili), vi sono limiti
di sostenibilità, dettati dalla limitatezza delle risorse, dall'impoverimento
della società e dalla
rapacità di chi sta (più in alto) nella gerarchia. Ma c'è anche una
ragione di principio. Le oligarchie
dei giri non potrebbero esistere se tutti godessero dei loro privilegi.
La generalizzazione dei privilegi è concettualmente la
contraddizione delle oligarchie. Esse, per esistere, hanno bisogno che
vi sia chi ne sta fuori. Le oligarchie portano dunque nel loro seno la
contraddizione.
È questo il momento in cui lo scontro assumerà l'aspetto di un conflitto tra
interessi (di parte) e
valori (universali), o tra «interessi» e «ragioni». Chi non partecipa, in una
misura anche minima, al
sistema dei privilegi, che cosa può fare se non contrapporre idee generali
(valori e ragioni, per
l'appunto) agli interessi dai quali è escluso? Per chi è inserito in un sistema
di scambi, il suo utile
potenziale è proprio solo il suo, e tutto il resto può andare a ramengo; per chi
non vi è inserito,
invece, quello che, per i primi, è quel "resto" è invece l'essenziale.
La divisione è perfino antropologica. L'homo hierachicus
è stato studiato con riguardo alle società
castali. Potrebbe essere studiato con riguardo alle oligarchie «di giro». Ne
risulterebbero tratti
antropologici tipici. Coloro che hanno passato la propria esistenza, o si
accingono a passarla, non
come uomini liberi ma come scalatori di luoghi dove vige servilismo e
opportunismo verso i potenti
e arroganza travestita da paternalismo verso i deboli, non possono non portarne
i segni sul loro
modo d'essere, di mostrarsi e di fare. Il loro è un habitus
caratteristico, che li distingue e che
difficilmente possono dismettere o nascondere.
Norberto Bobbio ha parlato una volta di «promesse non mantenute» della
democrazia e, tra queste,
ha messo la scomparsa delle oligarchie. Poteva, questa promessa, essere
mantenuta e non lo è stata,
oppure non poteva proprio essere mantenuta ed era quindi una falsa promessa?
Non è detto che ci si debba accodare a quelli che chiamerei
gli «snobisti» della democrazia, una
categoria in crescita di persone, un tempo di destra, oggi anche di sinistra,
anzi prevalentemente di
sinistra (una novità) molto intelligenti, i quali hanno vita facile nel
mostrarne limiti, contraddizioni e ipocrisie e nel considerare «anime belle»
coloro che fanno professione di fede democratica. È vero: la
democrazia come autogoverno del popolo è tanto più irrealizzabile quanto più è
idealizzata.
Ma non è la stessa cosa se, per combattere le oligarchie, occorre creare
«momenti eroici», con le
violenze e le distruzioni che li accompagnano, o se basta fare appello, contro
l'illegalità di cui esse
si nutrono e la segretezza con cui si proteggono, alla forza della legge
applicata in modo uguale per
tutti e alla libera circolazione delle informazioni: in una parola, alle
precondizioni che permettono
oneste misurazioni del consenso e del dissenso. La democrazia è dunque
forse solo questo: la
possibilità di creare «momenti non eroici» di distruzione delle oligarchie.
Vediamo così che occorre tenersi stretti ai capisaldi
del liberalismo: la sovranità della legge e la
libertà dell'opinione; le magistrature e l'informazione. Non ci voleva
molto, per arrivare qui, a
questa conclusione. Non ci voleva molto, ma questo non vuol dire che sia
superfluo ribadirla, ora
che sembra a qualcuno, non senza trovare seguito, che questi capisaldi,
piuttosto che rinforzare,
ostacolino e indeboliscano la democrazia.
Gustavo Zagrebelsky la
Repubblica 26 marzo 2010
Il testo è parte della «Lettura Cesare Alfieri» dal titolo "La democrazia
difficile",
che si terrà a Firenze, Aula Magna del Polo delle Scienze sociali, oggi alle 11.