Le mani sporche sulla nostra tavola

Le notizie che ci vengono dal mondo dell’illegalità e del crimine suscitano in generale allarme e
disgusto. Ma le pagine de L’ultima cena di Peppe Ruggiero sono tanto più inquietanti perché vanno
a scavare dentro un tema che siamo abituati a considerare leggero, o comunque «innocuo»: quello
del cibo. Raccolgono dati e storie allarmanti nella loro «normalità». Perché qui non si parla di
sequestri e omicidi, né di traffici di droga o armi, e neppure della mafia trasversale dei «colletti
bianchi», quella degli appalti, delle grandi operazioni finanziarie e del riciclaggio. Si racconta
invece di una mafia che bussa direttamente alle nostre porte, entra nella nostra quotidianità.
Quella «mafia» che «si aggiunge un posto a tavola», non invitata, per «mangiare» alle nostre spalle,
speculando su ciò di cui nessuno può fare a meno: il cibo, appunto.

Seguendo Peppe nel suo insolito tour enogastronomico, scopriamo che può esserci un fondo
d’illegalità nel caffè che gustiamo al bar, un retrogusto di truffa nei nostri pranzi di famiglia, un
ingrediente indigesto nella pizza condivisa con gli amici. Scopriamo che le mafie «ce la danno a
bere» - e a mangiare - grazie a infiltrazioni profonde e consolidate in vari comparti del settore
agroalimentare. E che a tutto questo come consumatori paghiamo un prezzo doppio: in termini di
soldi - perché il prezzo delle merci sale per assicurare un margine di interesse a più persone – e
soprattutto in termini di salute. Sono tanti i prodotti alimentari che «puzzano» d’illegalità e di
mafia.

Il libro si sofferma su alcuni casi, tutti smascherati grazie al tenace lavoro delle forze di polizia e
della magistratura. Dai forni abusivi dove si cuoce il pane bruciando legna trattata con vernici e
sostanze tossiche, al pesce e ai frutti di mare pescati in zone e con metodi proibiti, conservati in
modo inadeguato ma poi venduti comunque a cifre altissime nei negozi e sulle bancarelle. Dalla
carne di animali infetti o dopati con farmaci pericolosi alle mozzarelle di bufala contaminate dalla
diossina. Tutti prodotti sui quali i boss, senza nessuno scrupolo, lucrano a ogni passaggio: la
produzione, la distribuzione e la vendita. A volte avvalendosi della complicità proprio di chi sulla
qualità di quelle merci dovrebbe vigilare - laboratori di analisi, veterinari - ma per avere la sua fetta
di guadagno è disposto a chiudere un occhio o addirittura a partecipare attivamente alla truffa.

E approfittando anche dell’omertà di commercianti che, per convenienza o per paura, sottostanno alle
pressioni dei boss fino a consentire l’instaurarsi di veri e propri monopoli criminali su certi beni.
Speculano, le mafie, sui beni di prima necessità come sui prodotti più pregiati, sulle «eccellenze»
dei territori. Tanto, sanno che quei prodotti scadenti, adulterati e avvelenati sulle loro tavole non
arriveranno mai. Perché loro ci stanno attenti. Loro si procurano merce di prima qualità,
facendosela recapitare perfino in carcere.
E intanto investono anche nella ristorazione: sulla base
delle recenti inchieste e dei sequestri di beni, si è stimato in almeno 5.000 il numero dei locali nelle
mani della criminalità, fra ristoranti, pizzerie, bar, intestati perlopiù a prestanome e usati come
copertura per riciclare i soldi sporchi.
L’alternativa di fatto già esiste. E lo sa bene Peppe, che dopo tanti «bocconi» amari, alla fine per
dessert ci serve la speranza. Una speranza che ha il gusto di prodotti ispirati a logiche
completamente diverse: non gli appetiti insaziabili delle mafie, ma la fame di giustizia, la sete di
verità.
Una speranza che si coltiva sulle terre un tempo di proprietà dei boss. Proprio lì, infatti,
affondano le radici di un futuro diverso, pulito e accudito nel presente dai giovani delle coop di
Libera Terra sorte sui terreni confiscati. Dove l’olio, il vino, i cereali, le verdure sono prodotti con i
metodi dell’agricoltura biologica, a sottolineare che la salute delle persone, e della natura, è più
importante del profitto.


don Luigi Ciotti    l'Unità 15 settembre 2010