Le macerie
istituzionali
Oggi non è solo all´Aquila che si deve sgombrare il terreno dalle macerie.
Quelle che segnano i luoghi istituzionali del Paese sono diventate così tante
da cancellare il profilo del nostro orizzonte di riferimento e da diffondere un
sentimento generale di ansia e di smarrimento. Per questo fa bene il
Presidente della Repubblica a segnalare che il valore della Costituzione resta
ancora un punto di riferimento fondamentale per l´opinione pubblica.
È dall´altezza di questo osservatorio che bisogna misurare la gravità della
situazione. Oggi il documento votato all´unanimità della prima sezione del
Consiglio Superiore della Magistratura mette sotto gli occhi di tutti lo
spettacolo del disastro provocato dagli attacchi violentissimi del presidente
del Consiglio dei ministri alla magistratura. Ne abbiamo letti quasi uno al
giorno per anni. Qualcuno li considera intemperanze caratteriali su cui poi
esperti mediatori dal sorriso facile e dalla parola morbida si occupano di
versare mielate rassicurazioni. Si rischia di abituarsi allo spettacolo:
una variante italiana dei costumi politici, con tanto di sesso, barzellette e
canzoni napoletane.
Non così pensano i magistrati della prima sezione del Csm. Si tratta secondo loro di una denigrazione e di un condizionamento della magistratura assolutamente inaccettabili perché mettono in pericolo l´equilibrio tra poteri e ordini dello Stato. Senza questo equilibrio non si dà un ordinamento civile capace di tutelare i diritti di ognuno. Lo sappiamo. Dovremmo saperlo. È un dato elementare, semplicissimo, un pilastro fondamentale del sistema democratico. Ma i magistrati non si limitano a condannare. Il loro documento rivolge «un pressante appello a tutte le istituzioni perché sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell´intera magistratura». Oggi la magistratura è accusata nientemeno che di sovversione. E non si è trattato solo di parole. Le accuse del premier si sono tradotte in gravissimi episodi di diffamazione e aggressione all´immagine e alla dignità di singoli magistrati, vere e proprie esecuzioni in effigie. Questo documento del Csm segna una svolta storica nella lotta politica italiana: segnala una situazione di emergenza e invita a scelte adeguate. Scuote un torpore politico e morale che è frutto di una corruzione radicata in profondità. Quando si cominciano ad accettare certe cose in silenzio, quando si decide di smorzare i toni della reazione e a far finta di niente non si è contribuito al buon andamento della cosa pubblica come qualcuno può pensare: di fatto si è già accettato di vivere nella «Repubblica del Male Minore». È quello che sta accadendo da tempo.
È un fatto che appartiene al peggiore costume del nostro passato, a forme di corruzione morale e di indifferenza per le regole che ha avuto tanti nomi ma che ha una sola sostanza. Di secolo in secolo si sono usati nomi diversi: «nicodemismo»,«dissimulazione onesta», «familismo amorale». Diversi i fenomeni storici, legati però da un minimo comune denominatore morale che si è fissato nel costume di casa: il chiudere la porta e la finestra sul mondo degli altri, il conservarsi indifferenti alla cosa pubblica , il tollerare le lesioni ai diritti individuali in nome del tranquillo vivere dei più, il considerare ovvio che chi dispone del potere faccia straccio dei diritti di chi non gli obbedisce. Da questo costume sono nate le vergogne e gli errori della storia italiana: è questo che permise al popolo italiano nel suo insieme di accettare senza reagire l´immane vergogna delle leggi razziali, salvo poi addossare questa colpa al solo pontefice regnante come unico titolare della coscienza collettiva.
Ma quello della violenza contro i magistrati non è che il fenomeno più evidente prodotto da un leader politico che disprezza la giustizia come norma e come istituzione e si fabbrica le leggi e le sentenze su misura. Altre rovine sono state seminate un po´ dovunque da quella che oggi anche i commentatori più moderati e più filo governativi si rassegnano ormai a riconoscere come una congenita incapacità di Silvio Berlusconi di affrontare le responsabilità del governo di una grande nazione. Un sistema di potere personalistico ha fatto continuamente leva sul principio rozzo e intrinsecamente dittatoriale di interpretare una vittoria elettorale come una investitura plebiscitaria a comandare. I suoi attacchi alle istituzioni hanno superato da tempo ogni limite tollerabile in un sistema fondato sulla divisione dei poteri. Per disgrazia del Paese il comando è caduto nelle mani di una persona determinata a servirsene per tutelare e accrescere i suoi beni e per risolvere i suoi problemi con la giustizia. Da qui l´invenzione a getto continuo di norme e decreti «ad personam»: mentre scriviamo è in atto l´ennesima affannosa corsa del Parlamento per poter definire legittimo il fatto che un imputato non si presenta in tribunale. E non è certo la prima volta che quel potere legislativo che il popolo ha affidato al Parlamento viene confiscato e distolto dai problemi del Paese per togliere un privato cittadino che è anche per caso il presidente del Consiglio dagli impicci con la giustizia. Ai problemi del Paese si è data finora una risposta sbrigativa considerandoli come emergenze da affidare a strutture sottratte alle leggi ordinarie. Ma la politica dell´emergenza sta crollando sotto una valanga di scandali.
E la vicenda delle liste elettorali segna il fallimento clamoroso di un sistema che ha concepito le elezioni non come un modo per far emergere una classe di governo dal consenso dei cittadini ma come l´imposizione agli elettori di candidati scelti su altri e ben diversi parametri da quelli della capacità e dell´onestà nel servire gli interessi del Paese. Un fatto è certo: comandare non è governare. Una cultura di governo deve conoscere e rispettare le regole. Questo governo le ignora a tal punto che ha visto ridicolizzato da un tribunale amministrativo per insipienza e approssimazione il recente decreto «interpretativo», cioè l´ennesimo tentativo di sanare le malefatte col solito decreto tappabuchi. Questo governo? Diciamo pure quest´uomo: l´uomo che oggi tace. Il suo silenzio è più di una confessione. La voce arrogante che ha aggredito e sbeffeggiato istituzioni e ordini fondamentali del sistema democratico, dalla magistratura alla presidenza della repubblica, oggi è assente da uno scenario dove si aggirano smarriti e balbettanti i suoi cortigiani. Spettava a lui, se fosse stato quello statista che non è, prendersi la responsabilità del pasticcio combinato dai suoi e chiedere alle altre forze politiche e al Paese di risolvere insieme il problema: che è un problema di tutti se è vero che il diritto al voto è l´incancellabile principio base della democrazia. Diritto di tutti: di ogni partito, non solo del più grosso come tende a dire la poco democratica petulanza dei portavoce della maggioranza. Ma se i diritti di tutti non sono difesi con la durezza e l´intransigenza necessaria, se si continua ad accettare una violenza eversiva sfacciata e uno spettacolo di conclamata immoralità e corruzione accettando di abbassare la protesta in un sussurro, forse non ci accorgeremo nemmeno quando dalla Repubblica del Male Minore ci avranno trasferito armi e bagagli nel territorio della confinante Repubblica della Giustizia assente.
Adriano Prosperi
Repubblica 10.3.10