Le incursioni di papa Ratzinger
Il «caso» della visita del papa, non si sa bene in che
veste, per l'inaugurazione dell'anno accademico della Sapienza è scoppiato due
giorni dopo quello della lavata di capo da lui rivolta al sindaco di Roma
Veltroni come se fosse ancora il capo dello stato pontificio. Come già in altre
occasioni non si sa se Ratzinger parli dalla cattedra di Pietro o da quella di
professore di teologia, o magari dal trono di un re dell'ancien régime. E' un
fuoco di fila di voluta confusione di ruoli che contrassegna il protagonismo di
Benedetto XVI volto a riportare indietro di un paio di secoli l'orologio della
storia. Un tentativo che, come ha ricordato Eugenio Scalfari, tende a
«trasformare la gerarchia ecclesiastica e quello che pomposamente viene definito
il Magistero in una lobby che chiede e promette favori e benefici, quanto di più
lontano e disdicevole dall'attività pastorale e dall'approfondimernto
culturale».
Questo disegno mostra che nel suo nuovo ruolo l'ex capo del Sant'Uffizio
continua a interpretare il suo compito come espropriazione, con le buone o (come
in passato) con le cattive, della sfera del sacro immanente nella profondità dei
sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano, da parte di una istituzione
che rivendica l'esclusività della mediazione fra l'umano e il divino:
espropriazione che ignora e svilisce le differenti forme storiche e geografiche
di questa sfera così intima e delicata senza rispetto per la dignità personale e
l'integrità morale di ogni individuo.
Come alcuni lettori del manifesto forse ricordano già in novembre avevo rivolto
al rettore della Sapienza una lettera aperta, nella quale esponevo le ragioni
della mia indignazione per un invito a tenere una lectio magistralis che mi
appariva del tutto inappropriata nella forma e nella sostanza. Alcuni colleghi
hanno voluto successivamente unire la loro voce alla mia e li ringrazio per
averlo fatto. Siamo certamente una minoranza del corpo accademico, ma non credo
purtroppo che la maggioranza dei miei colleghi si interessi molto alle questioni
che non attengono direttamente alla loro attività professionale.
Anche se la proposta di lectio magistralis non è stata portata avanti, si è
scoperto, guarda caso, che il papa si troverà a passare da quelle parti proprio
lo stesso giorno dell'inaugurazione dell'anno accademico e dunque che sarebbe
stato scortese non chiedergli di dire due parole. La sostanza è dunque che il
papa inaugurerà giovedì l'anno accdemico dell'Università La Sapienza.
Perché ci indignamo tanto? Perché siamo così intolleranti e settari da non
volergli dare la parola? Provo a spiegarlo in due parole. In primo luogo perchè
le università, per lo meno quelle pubbliche, sono - negli stati non
confessionali - una comunità di studiosi, docenti e discenti, di tutte le
discipline universalmente riconosciute, di tutte le scuole di pensiero, di tutte
le culture e gli orientamenti politici e religiosi, scelti dai loro pari per i
loro contributi scientifici e culturali. Nessuno di loro può però accettare che
qualcuno, per quanto vanti investiture dall'Alto, possa loro prescrivere cosa
debbano o possano dire, fare o pensare. Ognuno ha la propria coscienza e la
propria deontologia professionale. In particolare possiamo tollerare che il papa
possa dire ai nostri colleghi biologi che non devono prendere sul serio Darwin?
Oppure ai nostri colleghi filosofi che è «inammissibile» - parole del professor
Ratzinger a Ratisbona - «rifiutarsi di ascoltare le tradizioni della fede
cristiana»?
Concludo con una domanda semplice. Una cosa simile potrebbe mai accadere non
dico nella Spagna di Zapatero ma anche in Francia in Germania, in Inghilterra o
negli Stati Uniti?
Marcello Cini Il manifesto 15/1/2008