Le guerre inutili del Vaticano

Con quali occhi si guarda oltre Tevere la crisi della sinistra in Italia e nel mondo? Ce lo chiediamo
con interesse, anche perché non possiamo dimenticare con quale decisione i vertici cattolici abbiano
combattute le sinistre in Italia e nel mondo negli ultimi decenni. Una battaglia condotta da Roma
con particolare durezza: basti pensare alla condanna della teologia della liberazione in America
latina.
Una battaglia che Roma può vantarsi di avere vinta? E con quali conseguenze? Alcune
riflessioni sono necessarie. Non sembra che Roma abbia molti motivi per gioire, tutt'altro. Si tratta
di una vittoria più apparente che reale; con il sapore, piuttosto, della sconfitta.
La prima riflessione riguarda il soggetto della presunta vittoria. Più del cristianesimo il grande
capitale mondiale.
Più dei palazzi vaticani la Casa bianca. Roma, d'altronde, combatteva soprattutto
quell'ateismo che considerava essenziale alla sinistra; le vicende decennali, invece, dimostravano
che altre erano le caratteristiche della sinistra e che l'ateismo non le era così essenziale. Un grave
equivoco, del quale è stato vittima, con la teologia della liberazione, la sinistra in tutto il mondo.
Roma deve riflettere, senza cantare vittoria.
Tanto più che la situazione nel mondo non può rallegrarla. La vittoria delle varie destre non
significa un successo del cristianesimo, tutt'altro
. Il mondo sempre più diviso, con il mondo povero
sempre più esteso e sempre più lontano dall'occidente e dal suo cristianesimo. Tutte le religioni più
o meno in crisi; più florido, caso mai, l'islam. Il cristianesimo, nelle sue varie forme, appare sempre
più come una religione adatta ai paesi ricchi e di questa impostazione Roma non può certamente
ritenersi soddisfatta, anche se ha contribuito a realizzarla.

La storia probabilmente dirà che la grande guerra condotta dal cristianesimo, soprattutto cattolico,
contro il socialismo e il comunismo, è stata una guerra inutile; una guerra condotta con i grandi
calibri, mentre erano sufficienti armi leggere. Ora, a guerra finita, bisognerà ritornare al «beati i
poveri» del cristianesimo evangelico: non sarà facile.

Filippo Gentiloni    il manifesto 28 giugno 2009

 

 

La scomunica del comunismo

Scomunicati, privati della comunione, del matrimonio religioso, del funerale religioso: questa la
sorte decretata da Pio XII per chi aderiva al Partito comunista o gli dava appoggio politico o
soltanto leggeva «libri, riviste, giornali che difendono la dottrina e l'azione comunista». Persino chi
diffondeva un volantino incappava nella morte ecclesiastica.
Il decreto, emanato il primo luglio 1949 dal Sant'Uffizio, tecnicamente era una riposta a quattro
quesiti. Se sia lecito aderire ai partiti comunisti o sostenerli; se sia lecito pubblicare o diffondere
stampa comunista; se i cristiani che abbiano «coscientemente e deliberatamente» compiuto una di
queste azioni possano essere «ammessi ai sacramenti»; se i cristiani, che professano e difendono la
dottrina comunista, «materialistica e anticristiana», debbano incorrere nella scomunica quali
«apostati della fede cattolica». La conclusione si espresse in tre secchi no e un sì categorico:
scomunica totale per i cristiani fautori del Partito comunista, salvo l'abiura e il ritorno all'ovile dei
politicamente pentiti.
Così Pio XII, che non aveva mai scomunicato il nazismo e che da Segretario di Stato vaticano aveva
spinto i vescovi tedeschi a non ostacolare l'adesione dei cattolici al Partito nazista pur di stringere il
concordato con il Reich hitleriano, impugnò l'arma della scomunica contro i comunisti.

Fu un gesto segnatamente marcato da preoccupazioni politiche italiane, anche se a valenza generale. Pio XI
aveva già condannato nove volte il marxismo. La decisione di Pio XII si inserisce nel clima della
Guerra fredda e della cortina di ferro appena instaurata. A Praga il colpo di stato aveva sepolto la
democrazia in Cecoslovacchia, il sistema stalinista si impadroniva dell'Europa orientale, l'Italia
aveva aderito al Patto atlantico.
Fu un «colpo duro» per i comunisti italiani, ricorda Pietro Ingrao, allora neo-deputato e dirigente
all'Unità, perché interveniva dopo la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni politiche del 1948.
Un colpo specialmente per la gente semplice, che aderiva al Partito comunista per motivi di riscatto
politico e non per ideologia «materialista». Raniero La Valle, all'epoca studente cattolico della Fuci,
non dimentica la storia di una coppia della Sabina: lui comunista, lei cattolica e incinta. La sera
prima della celebrazione religiosa il parroco chiese allo sposo l'abiura. Al suo rifiuto, la chiesa il
giorno dopo restò chiusa. La coppia vagò tutta la giornata per trovare un'altra chiesa finché un prete
non li unì in una cappella di campagna. La donna andò poi dal vescovo per chiedere conto del fatto
e alle motivazioni del prelato rispose, indicando il ventre gravido: «Questo non lo avrete».
Non tutti condivisero la scelta di Pio XII. In Vaticano, è il ricordo del cardinale Silvestrini, «il Prosegretario
di Stato Tardini era perplesso all'idea che si avessero milioni di scomunicati». E anche
Andreotti, allora sottosegretario, rammenta che il premier De Gasperi «non era favorevole alla
decisione, pur considerandola in linea di principio giusta: temeva le polemiche che ne sarebbero
derivate alla Chiesa e gli esiti più negativi che positivi». Il defunto ex Segretario di Stato vaticano
Casaroli dirà nelle sue memorie che Pio XII considerava suo «gravissimo dovere» mettere in
guardia dalla minaccia comunista, ma ammette che la scomunica «di rado (produsse) conversioni»,
cioè ripensamenti politici negli elettori e militanti del Pci. Ingrao concorda: «Alla fine la feroce
campagna ecclesiastica non incise». Il comunismo italiano non fu sradicato; il dialogo fra comunisti
e cattolici andò avanti, proseguirono persino contatti segreti fra esponenti comunisti e
rappresentanti del mondo ecclesiastico; Togliatti, segretario del Pci, tenne la barra sul rifiuto
dell'anticlericalismo e l'attenzione al cattolicesimo. «Finì che un giorno - racconta Ingrao - una
personalità come padre Balducci mi fece fare una predica dal pulpito nella sua chiesa».

Il peso politico della scomunica durò appena parte degli anni Cinquanta. Come scrive Andrea
Tornielli nel suo recente libro su Paolo VI, ancora nel 1953 il sostituto Segretario di Stato vaticano
Montini (futuro papa) indirizza una lettera al rettore dell'Università cattolica per deplorare qualsiasi
intervento della rivista Vita e Pensiero a favore della collaborazione con i «marxisti» (in questo caso
i socialisti di Nenni). Ma già emergevano le spinte alla collaborazione fra Dc e Psi, che negli anni
Sessanta portarono al governo di centro-sinistra. La scomunica fu dimenticata, rimase sepolta dalla
distinzione di Giovanni XXIII tra dottrine e persone, dal rifiuto del concilio Vaticano II di decretare
una nuova condanna del «comunismo ateo», dall'esplosione del ‘68 che spostò a sinistra pezzi
consistenti del mondo cattolico, dall'accordo di governo tra Moro e Berlinguer.

Una reliquia del passato come il Sillabo, anch'esso mai formalmente abrogato.

Marco Politi     la Repubblica  28 giugno 2009

 

 

 

 

 

“Il papa danneggiò l'Italia cristiana”

intervista a Marisa Cinciari Rodano a cura di Orazio La Rocca


Signora Marisa Rodano, cosa provocò nei cattocomunisti la scomunica del '49? E suo marito
Franco Rodano come reagì?

«Fu un grave colpo alla fede dei semplici (lavoratori, braccianti, contadini, donne...) che militavano
nel Pci per difendere il lavoro e migliorare le condizioni di vita. Mio marito, già colpito nel 1947 da
"interdetto" per aver scritto articoli sui preti poveri, considerò la scomunica un errore politico. Ma è
sbagliato parlare di cattocomunismo».
E dov'è l'errore?
«Il cattocomunismo, termine peraltro all'epoca non ancora inventato, non è mai esistito. C'erano
cattolici militanti nel Pci come ce ne sono ora nella sinistra: una scelta politica, non ideologica, che
non coinvolge la sfera della pratica religiosa e della fede».
Cattolici respinti però dalla casa madre, la Chiesa.
«Purtroppo. La gerarchia condannava il marxismo «ateo», ma la scomunica colpiva non solo i
cattolici che militavano nel Pci o lo votavano, ma anche gli iscritti al Psi, alla Cgil... In realtà per
moltissimi di loro il marxismo era una parola vuota di senso e il comunismo significava solo una
società di liberi e di eguali, senza sfruttamento, diritti per tutti, specie i più deboli, cioè istanze
omogenee al messaggio evangelico. Quella condanna ha contribuito alla secolarizzazione e
scristianizzazione della società italiana
».
Quando finì l'ostracismo?
«Gli effetti durarono per il pontificato di Pio XII, via via attenuandosi nella pratica. Con Giovanni
XXIII e col Concilio la ricerca di dialogo si sviluppò. Si pensi ai rapporti tra Palmiro Togliatti e don
Giuseppe De Luca, o allo storico scambio di lettere tra Enrico Berlinguer e il vescovo Luigi
Bettazzi».

La Repubblica  28/6/2009