Le favole della
paura al servizio del potere
Che ci sia un commercio di organi sembra certo; e accade anche che ci siano dei
bambini che
scompaiono. Due realtà diverse. Mettetele insieme e avrete la nascita dell'ircocervo,
il mostro
fantastico e terrorizzante che un ministro italiano ha messo in circolazione. Il
commercio di bambini
come fornitori di organi, un mostruoso mondo cimiteriale di piccoli corpi
svuotati e svenduti a
pezzi. Nessuno ha fornito dati reali a questo proposito. Ma intanto l'effetto
della falsa notizia ha
messo in ombra la notizia vera, quella che riguarda una macchina giudiziaria
svuotata - lei sì
realmente - dei suoi organi, inascoltata e vilipesa nelle sue sentenze più
lungamente e
accuratamente elaborate (caso Englaro). Altri corpi non umani ma pur sempre
essenziali
all'esistenza di una società moderna vivono in Italia in condizioni di
silenziosa inarrestabile
mutilazione: le strutture della ricerca, l'università, la scuola, la sanità
pubblica, i corpi di polizia e
via elencando. Ci si chiede perché proprio dal Ministero preposto agli
organismi della sicurezza sia
stata lanciata questa fantasia terrificante. Quel che è certo è che ancora
una volta si fa ricorso alla
stimolazione delle paure profonde. E mentre dura l'assenza di strutture di
assistenza e di protezione
effettiva si continua a stimolare quel sentimento che a lungo ha dominato
l'orizzonte del mondo
occidentale, con l'avventura della guerra irachena e la riduzione delle garanzie
democratiche e dei
diritti di libertà.
Oggi la chiusura di Guantanamo è il primo grande segno che si
volta pagina nel
grande paese sull'altra sponda dell'Atlantico. Da noi si raccontano favole
tremende per spingere i
cittadini a chiudersi in casa e ad affidarsi a poteri rapidi ed efficaci, senza
imbarazzi di regole legali.
Queste favole hanno radici antiche. Uno studio recente ha raccolto e
analizzato le fonti di un genere
di letteratura che raggiunse il suo massimo sviluppo tra ‘600 e ‘700 e che ebbe
nella paura il suo
ingrediente essenziale. Erano fogli volanti e opuscoli di pochissime pagine,
in prosa e in versi,
arricchiti da rozze xilografie e stampati senza nome d'autore, pubblicati da
editori spesso consorziati
per sfruttare una vena redditizia. Venivano sciorinati nelle ceste della merce e
venduti sulle piazze
cittadine nelle occasioni del mercato, della festa del santo patrono,
dell'esecuzione capitale di un
bandito. Si vendevano per le strade dei paesi o sulle aie dei contadini, insieme
a vite di santi, a
storie di miracoli, a preparati dal misterioso potere curativo. Se ne
declamavano i titoli e se ne
cantavano i versi dall'alto di un tavolo o di un sedile ("cantambanchi"). La
gente si raccoglieva per
ascoltare la storia e per guardare le figure. E comprava. Portava a casa il
foglio e ne prolungava la
vita immettendo nella circolazione orale quelle storie spaventose, rese
credibili e credute dalla
autorevolezza della parola stampata.
Difficile dire quanti se ne siano stampati e venduti: erano una merce destinata
a rapido consumo e
ad altrettanto rapida scomparsa. Ma nella lunga durata della divisione tra
minoranza colta e
maggioranza analfabeta, gli ultimi rivoli di quei commerci hanno lambito
l'Italia del nostro secolo:
nelle campagne dell'immediato secondo dopoguerra le storie di crimini enormi
venivano ancora
vendute insieme a storie di santi e alle Massime eterne di Sant'Alfonso de'
Liguori. E tuttavia,
nonostante la plurisecolare fortuna e l'enorme quantità di stampe prodotte, solo
in qualche caso le
biblioteche pubbliche ne hanno conservato qualche frammento tra le raccolte
fattene da lettori colti
e curiosi di quel che si leggeva tra le plebi. Ed è proprio analizzando le
raccolte che se ne
conservano nei ricchi fondi delle biblioteche emiliane che uno storico della
letteratura formatosi alla
scuola di Piero Camporesi ha potuto produrne un censimento e metterne in luce
alcuni caratteri
originali (Alberto Natale, Gli specchi della paura. Il sensazionale e il
prodigioso nella letteratura
di consumo /secoli XVII-XVIII, Carocci, pagg. 308, euro 28,60).
Questi antenati del moderno giornalismo nero erano nati in
maniera incerta e casuale dallo sviluppo
di relazioni manoscritte e di quegli avvisi a stampa, a cavallo tra la lettera
privata e l'informazione
pubblica, che si erano cominciati a diffondere nel ‘500. All'inizio
raccoglievano ogni genere di dati:
fatti militari e politici, eventi meteorologici di eccezionale portata, cronaca
nera. Col ‘600 si venne
sviluppando la letteratura detta appunto di consumo in quanto destinata
esplicitamente al consumo
di un pubblico speciale - un pubblico di lettori che, come ha osservato lo
storico francese Roger
Chartier, fu creato e unito proprio dalla messa in circolazione di quelle storie
tragiche e
stupefacenti. Chi le ha considerate espressione della cultura di un popolo di
bestioni ingenui,
incapaci di ragione e attirati dalle fiabe terrificanti e consolatorie di santi
e di delinquenti è caduto
nella trappola degli inventori di questo genere, che fu popolare solo nel senso
di destinato a creare
una sottocultura per le classi subalterne. In Francia il processo ebbe un
carattere unitario e
accentrato e dette vita alla celebre "Bibliothèque bleue", riconoscibile
dal colore della copertina,
dalla povertà della carta e delle immagini, dai caratteri grossi della stampa.
In Italia, mancando
l'unità politica, le iniziative che si incanalarono nel circuito degli scritti
per il popolo ebbero
carattere locale, policentrico, disperso.
Ma deve fare riflettere un dato di fatto singolare: quello dell'incoraggiamento
che le autorità
preposte al controllo della stampa fornirono a questo genere di pubblicazioni.
Le storie tragiche e
meravigliose che si declamavano sui banchi dei mercati o ai piedi del patibolo,
le canzonette in
terza rima o in ottava che «sogliono cantare i ciechi», erano provviste di
adeguata approvazione
ufficiale. In tempi di censura attenta e rigorosa sulla stampa non si lesinarono
i permessi per queste
pubblicazioni. L'approvazione dell'inquisitore figurava in bella mostra sulle
copertine. Era nata così
una speciale cultura degli ignoranti, destinata a offrire al popolo delle
campagne e delle città l'unico
cibo che si riteneva adatto al suo stomaco: cibo grossolano, capace di stimolare
una istupidita
meraviglia e una immensa paura delle forze del male. E dalla paura unita
alla meraviglia ci si
aspettava un risultato sicuro: la nascita e la diffusione di un atteggiamento di
umile e obbediente
dedizione alla protezione dei poteri dominanti.
Come accade con tutte le forme sociali nuove, al loro avvio nessuno si accorse
dell'importanza di
quel che stava nascendo. Importanza notevole: era l'avvio in forma embrionale
del mercato che
sotto l'offerta dell'informazione mirava alla gestione delle emozioni
collettive, come dire l'antenato
prossimo dell'imponente e fondamentale realtà contemporanea dei mezzi di
comunicazione di
massa. Certi aspetti dell'informazione quotidiana di cui ci nutriamo hanno
questi antenati, veri
parenti poveri di cui ci si vorrebbe dimenticare.
Un dato ricorrente di queste stampe è l'insistenza sulla verità di ciò che si
racconta: "Nuova e vera
relazione", "nuova e verissima relazione", "nuovo e vero racconto", "sincera ed
esatta relatione":
questi sono i titoli ricorrenti ogni volta che si raccontano storie dove
compaiono visioni, miracoli,
nascite di mostri, segni celesti allarmanti. La natura vi ha gran parte:
ma è una natura che nei suoi
prodigi rivela un volto ostile e minaccioso e appare come lo strumento divino
del castigo dei
peccatori. Terremoti e saette debbono essere esorcizzati dalla preghiera e dalla
penitenza.
La paura ha creato gli dèi: la tesi di Lucrezio nel De rerum natura sembra aver
persuaso soprattutto
i fautori e i protettori della circolazione di questa letteratura. Il
cielo di questi testi, prima di
diventare la serena cupola celeste alla quale Kant guardava con piena
consapevolezza della sua
coscienza morale, fu sfruttato come fonte di sentimenti di religiosa paura e
dette occasione a riti e
pratiche espiatorie, a sacrifici e preghiere. Il diluvio biblico, il fuoco su
Sodoma e Gomorra, le
comete, la folgore erano noti come i segni della collera divina: se l'arcobaleno
era stato per Noè il
segno del mutato umore di Dio, le profezie religiose avevano continuato per
secoli a vedere nel
futuro sangue e saette cadere dal cielo sull'umanità colpevole.
Ma quando il parafulmine di Benjamin Franklin disarmò definitivamente il cielo
la paura aveva
ormai cambiato di segno: si era spostata dal cielo sulla terra, da Dio agli
uomini. Non per questo era
scomparsa. Come il coniglio della fiaba che cerca invano di guarire dalla
paura, le società moderne
hanno selezionato le fonti di un sentimento arcaico, ne hanno isolato e messo
sotto controllo i
sintomi, hanno fatto della sicurezza la bandiera dei loro progressi, per
arrestarsi infine davanti al
cuore stesso dell'uomo. Qui si cela il residuo incancellabile depositato
dalle origini stesse della
specie, come un virus combattuto, indebolito ma sempre pronto a riattivarsi, al
servizio di chi voglia
approfittarne. E se le riserve di armi batteriologiche mantengono in vita la
peste e il vaiolo, è nel
mondo della comunicazione pubblica che viaggia il virus della paura
continuamente nutrito da
venditori di emozioni e coltivato a fini di potere.
Adriano Prosperi la Repubblica 2 febbraio 2009