Le due chiese e il
principe
«Abbiamo dunque con la Chiesa e con i preti noi italiani questo primo obligo:
di essere diventati sanza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora uno
maggiore, il quale è la seconda cagione della rovina nostra: questo è che la
Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia divisa». Il tempo muta tutte le
cose e non lascia niente com´era. Ma la realtà odierna, pur nelle nebbie che
coprono ai nostri occhi i movimenti e i moventi reali, sembra offrire materiale
adeguato per una verifica della diagnosi di Machiavelli.
Assistiamo oggi a un conflitto aperto e pubblico tra la coscienza morale
del popolo cattolico italiano coi suoi preti e i suoi vescovi e le necessità
strategiche della Chiesa come potere (quella che Machiavelli chiamava la Corte
di Roma). Dalla parte dei primi è affiorato con toni sofferti il disagio
davanti allo spettacolo di un potere senza freni e senza pudore. Annunciatosi in
sordina, cresciuto col brontolio di un tuono lontano, quel disagio è esploso
nello scandalo e nella protesta: i corpi utilizzati per i piaceri e quelli
condannati a sparire nel Mediterraneo hanno scatenato un moto di ripulsa e il
quotidiano dei vescovi e della Chiesa italiana ha dovuto dargli espressione, sia
pure con i toni smorzati della retorica ecclesiastica. Ci si chiedeva che cosa
corrispondesse a quel disagio nell´ovattato silenzio dei palazzi vaticani. E già
le cene progettate e le perdonanze estorte all´ombra di quel papa Celestino
morto prigioniero di un altro Papa facevano intuire che la diplomazia della
Chiesa-Potere si stava adoperando per coprire e sedare. Forse un giorno i
movimenti segreti della diplomazia saranno resi noti dagli storici. Ma non c´è
stato bisogno di un appuntamento segreto come quello che ci fu tra il 19 e il 20
gennaio 1923 tra il cardinal Gasparri e il cavalier Mussolini per orientare la
politica della comunicazione pubblica di parte vaticana e portare all´uscita di
ieri del direttore dell´Osservatore Romano sul Corriere della Sera. Da quella
intervista ricaviamo un giudizio severo: ma non sull´aggressione del quotidiano
berlusconiano al dottor Boffo che il cardinal Bagnasco ha definito «disgustoso»,
bensì sulle critiche che il quotidiano diretto da Boffo aveva avanzato nei
confronti del berlusconismo immorale.
E allora
ci si chiede fino a che punto la marcia della Chiesa-Potere può accordarsi al
cammino delle coscienze italiane. Per sfuggire all´emozione e all´ira di un
ignobile, disgustoso scenario di primi piani - ma la politica non è roba da
stomaci delicati, com´è noto - ricorriamo al campo lungo della storia. Ci
soccorre un libro importante che finalmente riprende in esame la questione dei
rapporti tra Chiesa e Stato in Italia in tutta la sua complessità e nell´intrico
dei movimenti reali: lo ha scritto un valente storico, Roberto Pertici, lo
pubblica per i tipi del Mulino il Senato della Repubblica (Chiesa e Stato in
Italia. Dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984)). La storia
è scienza difficile, richiede che le passioni tacciano e che lo sguardo acquisti
la lucidità di chi può e vuole solo capire. Secondo Pertici è dalla Grande
Guerra che si deve partire per comprendere perché la formula cavouriana del
«libera Chiesa in libero Stato» sia stata accantonata per avviarsi sulla strada
del concordato. Fu allora che il papato di Benedetto XV sottrasse la Chiesa
cattolica al condizionamento degli Stati e fece della scelta di neutralità e
della parola di pace il cuore della nuova posizione nel mondo che l´immane
carneficina le offriva. Non le servivano più dei portavoce laici autorizzati né
delle forze politiche confessionali. Di conseguenza lo stesso rapporto col
Partito Popolare di don Sturzo e più avanti con la Democrazia Cristiana di De
Gasperi non cancellarono più la volontà della Chiesa di perseguire la sua
politica con un rapporto diretto coi governi. Nacque così la
politica dei concordati. E l´atto con cui Togliatti nella notte tra il
25 e il 26 marzo 1947 - un vero «luogo della memoria» nella storia dell´Italia
repubblicana, come osserva Pertici - portò l´adesione non desiderata e non
gradita del Partito Comunista all´inserimento dei Patti Lateranensi nella
Costituzione nacque dalla coscienza della fragilità delle istituzioni del paese.
Togliatti ci tenne a dire pubblicamente a De Gasperi che aveva ben compreso un
suo accenno al fatto che il nuovo regime italiano di tutto aveva bisogno fuorché
di turbamenti alla pace religiosa. De Gasperi aveva letto pubblicamente la
formula del giuramento concordatario col quale i vescovi si impegnavano a essere
leali verso lo Stato italiano, a rispettare e a far rispettare dal clero il capo
della repubblica e il governo costituzionale: e aveva concluso: «Amici, non
siamo in Italia così solidificati, così cristallizzati nella forma del regime da
poter rinunziare a simili impegni».
Questo lo scenario offerto dalla storia per affrontare la lettura del presente.
Oggi niente è rimasto com´era nel paese Italia, un paese nei cui registri
parrocchiali si leggeva allora molto spesso la qualifica di «miserabile», dove i
mestieri più diffusi erano quelli di bracciante per gli uomini e di casalinga
per le donne. Un abisso sociale divide oggi i nipoti dalla realtà di chi tornò
allora vivo o morto dalla guerra. E tuttavia nemmeno oggi il regime è
"cristallizzato", anzi. E la Chiesa fa la sua politica. Nell´incontro segreto
del 1923 maturò la politica che portò il governo Mussolini a reintrodurre
la religione cattolica come materia da insegnare nelle scuole e a fare tutti i
passi che portarono al Concordato. Oggi un partito che ieri vantava il suo
paganesimo e adorava le acque del Po si offre come il vero partito cattolico:
non ci stupiremo pensando all´ateo Mussolini che sfidava la folgore di Dio dal
pulpito. Un altro «uomo della Provvidenza» tenta la strada del Vaticano. E forse
oltre Tevere qualcuno starà valutando freddamente la sua credibilità come
successore di un ormai imbarazzante - anche per loro - presidente del Consiglio.
Adriano Prosperi Repubblica 1.9.009