Le debolezze di Benedetto sedicesimo
Giorno dopo giorno si chiarisce sempre meglio la linea del
pontificato di Benedetto XVI: la sua strategia, ma anche la sua debolezza.
In primo piano una pretesa, quella di restituire al
Vaticano la possibilità di un magistero universale, ascoltato da tutto il mondo,
anche se non sempre seguito. Un freno a quel relativismo - tutte le posizioni
sono egualmente valide, tutte incerte - che è, per il papa, la malattia mortale
del mondo moderno.
Per la chiesa cattolica un magistero privilegiato, non una
posizione di parità con tutte le altre cattedre. Lo esigerebbe la verità. Una
posizione indubbiamente rigida, contraria allo spirito e alla cultura moderni ma
in linea con una certa forte tradizione cattolica.
Una posizione che trova il suo sostegno non tanto nel
Vangelo quanto in una presunta ragione. Il Vangelo, infatti non è di tutti ma
soltanto dei credenti cristiani (cattolici), mentre la ragione - quella di
Ratzinger - si presume universale. In nome della ragione il papa potrebbe
parlare a tutti (sul matrimonio e la famiglia, ad esempio, sulle nascite e le
morti).
La debolezza di questa posizione è evidente, nonostante le
sue pretese. La ragione, ormai da qualche secolo (dalle scoperte geografiche?)
non è più eguale per tutti. Non esiste più - se mai è esistita - una ragione
unica e universale, anche in Africa e in Oriente, della quale il Vaticano
sarebbe custode.
Perciò il discorso di Ratzinger appare carico di una rigida
pretesa ormai fuori tempo, antistorica. La sua base - il rapporto stretto fra
fede cattolica e ragione universale - non regge più. Una debolezza che non può
non venire alla luce. Perciò hanno buon gioco le contestazioni, sia quelle
chiare che provengono dal mondo laico e di altre fedi, sia quelle più velate che
hanno origine dallo stesso mondo cattolico. Significative le perplessità
estremamente autorevoli dello stesso cardinale Martini. Significativi anche i
tentativi vaticani di colpire in qualche modo chi si oppone, come nel caso di
Sobrino, esponente di spicco della teologia della liberazione. Proprio quella
teologia che, sull'onda del Concilio, aveva cercato di superare l'ancoraggio
della fede alla ragione, rafforzando, invece, quello alle pagine bibliche. Ma il
concilio Vaticano II dal pontificato di Benedetto XVI sembra ormai lontano, ben
più di qualche decennio.
Bisognerà cominciare, come qualcuno ha detto, a pensare a
un altro concilio?
Filippo Gentiloni il manifesto 18/3/2007