Le crociate contro il relativismo e le ragioni della democrazia

Il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Giuseppe Betori, parlando di recente a Gubbio in occasione della festa di sant'Ubaldo ha fatto un parallelo fra l'assedio del Barbarossa alla città e le tendenze che oggi minaccerebbero la famiglia e la dignità della vita. "Oggi nuovi nemici"  ha detto  "tentano di espugnare le nostre città, di sovvertire il loro sereno ordinamento, di creare turbamento alla loro vita". E questi nemici, secondo l'intervento in stile militaresco di mons. Betori, sarebbero il nichilismo ed il relativismo accusati di volere egemonizzare la cultura del Paese. Ora, se per nichilismo s'intende una dottrina fondata sulla svalutazione delle realtà con la negazione di ogni morale e per relativismo ogni atteggiamento del pensiero che rifiuta la pretesa di porre obbligatoriamente a base della convivenza civile l'esistenza di valori oggettivi ed assoluti, siamo di fronte a due filosofie che nulla hanno in comune, perché il nichilismo rifiuta l'esistenza di tutti i valori mentre il relativismo implica la pari dignità delle diverse concezioni valoriali con il corollario dell'utilità del confronto tra di esse come fattore di crescita culturale e civile. È appena il caso poi di precisare che tra le varie concezioni a confronto quelle che si ispirano a valori considerati assoluti hanno ovviamente il diritto di sostenere e proporre questi valori anche sul piano politico ma lo devono fare in una competizione "alla pari" con gli altri orientamenti e quindi senza la pretesa di affermare l'origine religiosa e la conseguente superiorità etica delle loro convinzioni, in una sorta di crociata apertamente e combattivamente guidata dalla Chiesa gerarchica. Allora è nel giusto chi afferma che il relativismo è l'antidoto contro il nichilismo ed è inoltre l'imprescindibile presupposto di qualsiasi convivenza democratica fondata sull'unico sistema di valori condivisi che è quello riveniente dai principi fondamentali e dalle grandi direttrici della Costituzione quale "precipitato storico" delle prevalenti sensibilità e dei più diffusi orientamenti. Se così stanno le cose, le recenti prese di posizione della Chiesa gerarchica sembrano mettere in discussione le stesse basi della democrazia con l'assolutizzazione di una "cultura" tratta meccanicamente (e spesso discutibilmente) dai contenuti di "fede": un antistorico fideismo contrapposto al relativismo, una scelta che di fatto punta ad accantonare definitivamente il Concilio Vaticano II e che apre la strada a reazioni e conflitti nuocendo alla stessa missione evangelizzatrice della Chiesa. Ma, a volersi porre per un momento nell'ottica dei vertici della Cei, c'è da chiedere agli stessi se sono espressioni del nichilismo coloro che chiedono il riconoscimento delle unioni di fatto, un'adeguata regolamentazione della fecondazione assistita e l'approvazione del cosiddetto testamento biologico o se lo sono invece, nella versione peraltro più estrema, i fautori di quella "religione" liberista che ha per dio il profitto, per morale le leggi del mercato e della competizione, per templi le sedi delle borse e delle grandi banche, per strumenti di "conversione" l'imbonimento e la guerra e per sacerdoti i tecnocrati delle multinazionali e gli operatori dell'alta finanza. E non si dica che la Chiesa anche di recente ha condannato, insieme al comunismo (che con il crollo della degenerazione sovietica non fa più paura a nessuno), anche il capitalismo (che è vivo e vegeto e sta spingendo il mondo verso il disastro sociale e la tragedia ecologica) perché i fautori di questo "ipernichilismo", che credono solo nel proprio tornaconto, non vengono mai indicati chiaramente col nome loro e delle loro cordate e sono spesso gratificati di amicizia e sostegno.

Ha ragione il sindaco, filosofo Cacciari quando dice che "possiamo sottrarre la Chiesa all'abbraccio mortale con gli ipocriti, i sepolcri imbiancati, i Casini, i Berlusconi che hanno organizzato il Family day". Ma egli guarda a questa possibilità in un'ottica strettamente politica mentre c'è un'ottica un po' più larga, quella dei credenti che sentono anche per ragioni religiose il dovere di fare il possibile per scongiurare il micidiale abbraccio. Ed è per questo che sul versante ecclesiale vanno poste alcune domande. Perché non prende corpo un movimento che liberi il messaggio evangelico dalle interpretazioni strumentali che lo hanno deformato nei suoi lineamenti essenziali con l'intento di metterlo al servizio di una cultura che esalta la ricchezza, genera le povertà, predica il dominio dell'Occidente sul resto del mondo e pratica lo sfruttamento e la guerra? In quale sottoscala della coscienza cristiana è stato riposto il Discorso della Montagna che delinea i tratti salienti della vera civiltà, quella dei "beati" perché poveri, sofferenti, miti e puri di cuore, misericordiosi, operatori di pace, affamati di giustizia e perseguitati a causa di essa? Come è possibile che riscuotano credito nel popolo cristiano i farisei dei nostri giorni che identificano il "bene" con il proprio successo ed i loro doveri col pagamento di alcune "decime"? Come è possibile che non venga colta la distanza siderale di costoro dal Signore del Vangelo di Luca che "ha disperso i superbi con i disegni da loro concepiti. Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati e rimandato i ricchi a mani vuote"? Ed infine, perché la Chiesa non spalanca le sue finestre per respirare a pieni polmoni l'aria di quella nuova primavera religiosa che è stata il Concilio Vaticano II?

 

Michele Di Schiena      presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione       Adista n. 39/2007