Le battaglie che ci
uniscono
Ci sono due possibili Chiese nel libro di Enzo Bianchi: la prima è la
Chiesa della gerarchia; la seconda
la Chiesa che potremmo definire celeste, spirituale, la più vicina, nella sua
analisi, al
messaggio del Vangelo.
Nella mia esperienza di non cattolico le ho conosciute entrambe. Quando è uscito
il libro Inchiesta
su Gesù (dialogo con Mauro Pesce, docente di Storia del cristianesimo) ho
registrato negli ambienti
cattolici due diverse reazioni. La prima è stata il rifiuto netto, in qualche
caso violento, di un'analisi
che voleva raccontare Gesù solo come uomo, come profeta, spogliato cioè del
mantello della
teologia. La seconda è stata l'accoglimento di quella analisi, pur con alcune
distinzioni, visto come
un arricchimento possibile alla comprensione del personaggio. Le due reazioni
corrispondono
grosso modo a quelle che lo stesso Bianchi esamina e descrive nel suo libro.
Vorrei cercare di dire
perché do questo giudizio.
Parto dall'affermazione dell'autore che fa notare come il dialogo tra laici e
cattolici corra il rischio
(grave) d'interrompersi: «Si assiste, scrive, «a una polemica continua,
sempre più chiassosa e
barbara, che fa sentire la Chiesa assediata e che, di converso, dà ai non
cattolici l'impressione di
vedere minacciata la libertà e la laicità». Di questo, infatti, si
tratta. Quando il cardinale Bagnasco,
capo dei vescovi italiani, intima al Parlamento di approvare una legge sulla
fine della vita che
rispecchi il punto di vista della gerarchia, egli compie un gesto di
prevaricazione che anche Enzo
Bianchi, in linea di principio, condanna: «La Chiesa non può e non deve, a
partire da questa
autocoscienza evangelica, pretendere di imporre alla società il suo punto di
vista etico». Quando il
cardinale Ruini, in occasione del referendum sulla procreazione assistita, fece
proseguire la
campagna per l'astensione anche nella domenica del voto, egli violò,
consapevolmente, la legge
elettorale della Repubblica italiana.
Il libro di Bianchi Per un'etica condivisa parte da queste premesse, poiché i
veri e unici «princìpi
non negoziabili» del messaggio cristiano sono a ben guardare soltanto «l'amore
del nemico, il
perdono, la difesa degli ultimi, la politica della pace».
Tanto più che «nelle società occidentali nessuno ipotizza una
teocrazia che esiga di dare a Dio ciò
che spetta a Cesare».
Il rischio che Bianchi individua in un atteggiamento come quello al momento
prevalente nella
gerarchia cattolica è di risuscitare il vecchio anticlericalismo di stampo
ottocentesco. Sarebbe una
sciagura, per le ragioni da lui esposte, e che io condivido. Nelle pagine del
libro si indica anche un
altro pericolo che a me pare grave. Una Chiesa che tenti d'imporre una
"religione civile" rischia di
farsi avvocata delle apparenze, soddisfatta di un'osservanza solo formale, in
qualche caso nemmeno
quella. Ci si può chiedere per esempio quale credibilità abbiano dei
leader politici che dicendosi
difensori della famiglia e della religione danno, nella loro esistenza privata,
così poveri esempi di
vita cristiana risultando bigami, adulteri, fautori di aborti compiuti perfino
al sesto mese di
gravidanza, in pratica un infanticidio più che aborto. Eppure è a leader
come questi che va lo
scoperto appoggio (politico, elettorale) della Chiesa gerarchica. Le
conseguenze sullo stato d'animo
dei comuni fedeli è così descritto da Bianchi: «Ogni volta che la Chiesa entra
con proposte tecniche
nell'agone politico, economico o giuridico di fatto crea divisioni tra i
credenti, spacca la comunità
cristiana».
Il temuto anticlericalismo nasce anche da questa evidente discordanza tra
l'insegnamento del
Vangelo e la pratica di una religione che troppo spesso sembra accontentarsi dei
risultati in termini
di favori, elargizioni di denaro alle scuole cattoliche, una legge come quella
dell'8 per mille
compiacente fino all'abuso verso la religione di maggioranza.
L'autore denuncia anche il rischio che il dibattito all'interno della Chiesa (il
dissenso) venga
soffocato o mal interpretato sulla base del sospetto che: «Chi dialoga con
avversari (non "nemici"!)
è ritenuto un traditore o un buonista arresosi agli altri; chi denuncia il
rischio di una Chiesa che viva
di politica e di strategia appare come un nemico della Chiesa stessa».
Anche da questo, infatti, una
Chiesa memore della sua funzione originaria dovrebbe difendersi. L'assenza di
discussione può
voler dire indifferenza, rassegnazione, distacco. Rischio non meno grave di una
fede tiepida,
accomodante, di superficie. In definitiva inutile.
C'è nel libro una pars construens di enorme importanza non solo per la
Chiesa ma, ancora una
volta, per l'intera collettività nazionale. Scrive l'autore: «La democrazia può
trovare nelle realtà
religiose un antidoto a derive anti-democratiche e totalitarie». Sono d'accordo,
anzi vado ancora più
in là: non credenti (come me) e cattolici hanno molte battaglie da
combattere insieme, prima di
dividersi, com'è inevitabile, su alcune scelte. Insieme, per esempio,
possono indicare ai più giovani
alcune mete: dignità, responsabilità (preservativi compresi), amore per il
sapere.
Insieme possono aiutarsi a decifrare un mondo diventato molto lontano e molto
difficile. Insieme
possono imparare a rifiutare gli allettamenti della grossolanità, la volgarità,
le false mete, gli
specchietti di una società fondata sulle apparenze.
Poi ognuno prenderà la sua strada, liberamente, com'è giusto che sia, ma quel
pezzo di cammino in
comune sarà comunque di enorme aiuto: agli uni e agli altri. Come anche Enzo
Bianchi sembra
suggerire.
Corrado Augias Famiglia Cristiana n. 14 del 5 aprile 2009