Il lato B dei
rapporti Stato-Chiesa
Sotto gli occhi allibiti delle nazioni europee è in corso in Italia un
esperimento di macelleria
giuridica senza precedenti. Non c’è giorno in cui i satelliti del Cavaliere non
cerchino di tagliuzzare
e rappezzare le leggi per mettere il bavaglio alla magistratura. La
Chiesa, i cui vertici insistono
costantemente nel dichiarare il loro legame con le sorti del popolo italiano,
tace. Eppure il fulcro
della sua “dottrina sociale” risiede in un concetto: bene comune. E’ il filo
conduttore di encicliche,
documenti, discorsi papali. E’ il principio in nome del quale per la
dottrina cattolica l’egoismo,
l’avidità, la prepotenza sociale, l’ingiustizia vanno respinti e combattuti dai
credenti.
Spesso, se non quotidianamente, le autorità ecclesiastiche evocano l’etica della
famiglia, l’etica
della vita, l’etica della fecondazione, l’etica della salvaguardia del creato,
l’etica della solidarietà
sociale, l’etica della finanza, l’etica della ricerca scientifica. Stranamente
dai Palazzi ecclesiastici
non giunge invece, nemmeno fioca, una parola sulla torsione brutale cui il
presidente del Consiglio
sta sottoponendo le fondamenta del sistema legale italiano.
La gerarchia sta cercando di presentare la situazione come un conflitto
irrazionale tra eserciti
vocianti. Non è così. Non si tratta dello scontro fra due tifoserie. Nelle
stanze vaticane, dove si
respira un’aria internazionale, si sa benissimo qual è il giudizio che nelle
democrazie occidentali è
riservato al caso B. Si sa, ma si tace.
Ora è anche comprensibile che per diplomazia il Vaticano non voglia entrare
nelle questioni interne
di un altro Stato. Ma ciò non giustifica l’anomalia del silenziatore imposto
alla Chiesa italiana nel
suo complesso. Tanti, tantissimi fedeli, ubbidienti al magistero papale,
appassionati del Vangelo,
alieni dall’alzare la voce, aspettano da settimane che i vertici ecclesiastici
pronuncino una parola
chiara sulla pretesa che la legge non valga per tutti. Sono assieme alla
stragrande maggioranza degli
italiani, che ha approvato la Consulta quando ha bocciato il lodo Alfano e che
oggi è contraria alla
sospensione dei processi e alla reintroduzione dell’immunità ai parlamentari.
Anche questo è
“cattolicesimo popolare”. Ma la Chiesa tace. “Una viva coscienza della
legalità esige che la
formulazione delle leggi obbedisca innanzitutto alla tutela e alla promozione
del bene comune… Se
i comportamenti si slegano dalle norme, perché diventano legge a se stessi,
perde senso ogni
riferimento a un ordinamento legale. Se i mezzi vengono valutati esclusivamente
in base ai loro
esiti immediati, scompare la progettualità nella società degli uomini e quindi
il riferimento a leggi
comuni”. Sono affermazioni contenute in un documento ufficiale della Cei del
1991. Si intitola
“Educare alla Legalità”. Basterebbe ricordarlo.
Ai piani alti della Chiesa si assiste a una contraddizione profonda. Da un lato
l’episcopato
(affrontando i problemi della criminalità nel meridione) si propone una campagna
permanente per
inculcare il rispetto della legge, dall’altro chiude gli occhi dinanzi a quella
che una personalità
equilibrata come Ciampi definisce ormai una costante “manipolazione delle
regole”.
E’ il prezzo della ragion di Stato. Dalla maggioranza di centrodestra la
gerarchia ecclesiastica si
attende il sabotaggio della pillola Ru486, la negazione dell’autodeterminazione
del paziente nel testamento biologico, i finanziamenti alle scuole cattoliche.
Molti credenti si
chiedono se siano regali talmente importanti da rimuovere ogni preoccupazione
per la moralità
pubblica, il bene comune, la legalità “intesa come rispetto e osservanza delle
leggi (che) è una
forma particolare di giustizia” (così la Nota del 1991).
Tacciono i vescovi, tace finora l’Avvenire, tace evidentemente scoraggiata
dall’alto, gran parte della
stampa diocesana. Mosca rara, il settimanale del Patriarca Scola di Venezia. Su
“Gente Veneta” si
può leggere un’intervista all’ex procuratore generale Fortuna, che dice ciò che
tutta l’Italia non
ciecamente berlusconiana ha già compreso: “Con il processo breve un’assurda
amnistia, la più
grande del dopoguerra. Si rischia l’estinzione dei reati senza alcun criterio”.
Berlusconi lo sa
benissimo. Il silenzio ecclesiastico è l’ultima grande stampella a cui
aggrapparsi.
Marco Politi il Fatto Quotidiano 27
novembre 2009