Una serena,
ferma e dignitosa difesa dello Stato laico vince elettoralmente in una
democrazia matura. Questa è la semplice lezione del successo di José
Luis Zapatero.
Sappiamo che le varianti in gioco nelle elezioni spagnole erano e sono
molte. Sappiamo che le differenze tra l’Italia e la Spagna sono grandi.
Ce ne siamo dimenticati, anche per una certa provinciale supponenza che
per decenni ci ha illuso di «essere più avanti» degli spagnoli. Adesso
ci stanno dando molte lezioni: dal dinamismo economico all’impegno nelle
istituzioni europee. Da qualche tempo ci offrono pure l’esempio di uno
Stato che ha riscoperto il gusto della propria autonomia e dignità nel
dimostrare con i fatti di essere l’unico depositario dei criteri
dell’etica pubblica.
Il plusvalore della laicità ha certamente rafforzato la prospettiva
«socialista» della politica zapateriana, che punta sulla valorizzazione
della «cittadinanza sociale». Solo l’eutanasia del socialismo nel nostro
Paese impedisce di cogliere il nesso fecondo tra socialismo della
cittadinanza e diritti civili.
Nel merito si può essere d’accordo o no su questa o su quella iniziativa
di legge (dalle nuove regole sul divorzio ai matrimoni gay), ma non c’è
dubbio che il governo socialista sta sviluppando una strategia efficace.
Consente all’opposizione cattolica ed ecclesiastica di dispiegare tutto
il suo potenziale di protesta pubblica, senza farsi intimidire.
Soprattutto non si lascia dettare lezioni su che cosa sia la «vera
laicità dello Stato». Il risultato è che nulla fa infuriare di più i
clericali spagnoli del sorriso disarmante di Zapatero quando annuncia e
ribadisce le sue misure di laicità.
Con buona pace dei nostri clericali, non si può dire che «la sfera
pubblica» spagnola sia condizionata dal laicismo di Stato. Nulla
impedisce ai cattolici spagnoli, che seguono le direttive della
gerarchia, di manifestare senza restrizioni i loro convincimenti con il
massimo di pubblicità. Ma le loro ragioni non convincono la maggioranza
degli spagnoli. È quindi sbagliato affermare che le iniziative di
Zapatero fanno violenza alla buona popolazione spagnola. Semplicemente
la gente, credente o non credente, è laicamente più matura dei suoi
rappresentanti clericali.
Non so se il risultato elettorale spagnolo cambierà qualcosa nel nostro
Paese nelle strategie politiche (tali sono anche quelle della Cei) in
previsione di misure di legge che rientrano sotto i criteri della
laicità dello Stato. Oggi in Italia è in atto una tregua elettorale,
dettata dalla convenienza politica e da un calcolo di aritmetica
elettorale. È il segnale di un intreccio intimo e strumentale tra i
meccanismi democratici e la volontà di una parte del mondo cattolico di
condizionare dall’interno (a cominciare dal Pd) i processi della
decisione politica.
Non siamo dunque in una situazione spagnola, neppure per quanto riguarda
«la sfera pubblica», che da noi è saldamente presidiata dalle forze
cattoliche in linea con la dottrina o meglio con la strategia della
Chiesa. Ma la linea intransigente dettata dalla parola d’ordine della
«non negoziabilità dei valori», confondendo la dottrina della Chiesa con
una strategia politica, mette in difficoltà la democrazia o quanto meno
la sua funzionalità.
Non ci stancheremo di ripetere che in democrazia «non negoziabili» sono
soltanto i diritti fondamentali, tra i quali al primo posto c’è la
pluralità dei convincimenti, pubblicamente argomentati. Ad essa deve
essere subordinato l’impulso a far valere i propri valori (per quanto
soggettivamente legittimi) nei confronti degli altri cittadini. Dopo di
che, evidentemente, si apre lo spazio al confronto - anche duro - delle
ragioni che sono condivise o che dividono, e quindi alle regole del
gioco democratico.
Non so se un futuro ipotetico governo Veltroni proporrà leggi non
gradite alla gerarchia ecclesiastica, sostenendo il principio
dell’autonomia dello Stato laico e il primato costituzionale del
pluralismo etico. Dovrà prima fare i conti con alcune componenti interne
del suo stesso partito, che non mancheranno di ricattarlo. Da questo
punto di vista, anche se lo volesse, Veltroni non potrebbe agire con la
fermezza di Zapatero. Si è già messo nelle condizioni politiche di non
poterlo imitare, ammesso che lo voglia fare. Non aspettiamoci dunque un
Veltroni-Zapatero. Non potrà e non saprà farlo. Lo apprezzerà magari a
parole, ma da lontano. Nel suo stile. |