Laici tra Ruini e
Bertone
Il caso Avvenire ha evidenziato uno scontro interno alla chiesa italiana e
al Vaticano e ha messo in
luce un dato: la “linea concordataria” è attualmente la sola formula di
sopravvivenza per il rapporto
tra la chiesa cattolica e lo stato italiano. Da una parte, sull’ultimo numero de
Il Regno, l’editoriale di
Gianfranco Brunelli nota con lucidità che lo scontro tra la Cei e Berlusconi ha
segnato la fine di una
linea di politica ecclesiastica: una linea politica che aveva comportato
la subalternità della Cei e, in
definitiva, il disconoscimento dei cattolici democratici da parte delle
gerarchie ecclesiastiche.
Nella conclusione Brunelli si chiede cosa rimane del cattolicesimo politico,
e indica come sola via
d’uscita possibile una nuova stagione di autonomia per il laicato cattolico,
di fronte all’ipotesi che il
futuro sia all’insegna di una mera “linea concordataria” – gestita dalla
segreteria di stato – per i
rapporti tra stato e chiesa. Dall’altra parte, sulle colonne de Il Foglio
Sandro Magister accusa la
medesima “linea concordataria”, che a suo avviso è responsabile
dell’affossamento del “progetto
culturale” dell’era del cardinale Ruini e di una sconfessione delle “linee
maestre” dei pontificati di
Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Di fronte a questa unanimità di giudizio (unanimità che però
parte da presupposti del tutto diversi)
sulla debolezza della “linea concordataria”, cosa hanno in mente i cattolici
italiani per l’apertura di
una nuova stagione? Se il Vaticano sembra impegnato a seguire una linea di
rapporti istituzionali
col governo Berlusconi, i vescovi italiani si ritrovano politicamente orfani di
una destra che ha
cercato il sostegno della chiesa, senza però concedere nulla al suo magistero
sociale. La chiesa
italiana ha sperimentato in modo traumatico, col “caso Avvenire”, il passaggio
dal matrimonio di
convenienza, alla cattività berlusconiana, alla necessità di una nuova libertà.
Infatti, il messaggio
trasversale lanciato da Berlusconi alla chiesa italiana è la prova che, nella
cultura politica delle
“nuove destre” populiste e individualiste, la chiesa cattolica rischia di far la
fine di una lobby, la cui
influenza è legata alla convergenza di interessi e non alla capacità di parlare
alle coscienze.
Se è vero che l’autunno 2009 segna il tramonto di una linea di politica
ecclesiastica per la chiesa
italiana, allora sono tramontate anche le caratteristiche proprie di quella
linea – centralizzazione e
clericalizzazione, militantismo politico diretto di associazioni e movimenti,
uniformizzazione dei
media cattolici – e si apre una finestra di opportunità per il
cattolicesimo politico e per il Partito
democratico.
Ha ragione Angelo Bertani quando scrive, sulle colonne di
questo giornale, che non sono i
concordati a garantire la libertà della chiesa e la vitalità della fede. Ma
anche se dovesse
sopravvivere, nello scenario italiano, solo la “linea concordataria” gestita
dalla segreteria di stato, è
chiaro che qualsiasi linea concordataria, nell’Europa multireligiosa del secolo
XXI, comporta
enormi sfide culturali e politiche: basti guardare al dibattito in corso in
Germania, terra natale di
Benedetto XVI, sul ruolo del Concordato nel delicato passaggio tra Costituzione
tedesca e la futura
Unione europea secondo il trattato di Lisbona.
La disputa – a distanza – tra gli eredi del “progetto culturale” del cardinale
Ruini e gli attuali gestori
della “linea concordataria” del cardinale Bertone è l’indice di un presente in
scadenza: ma riflette la
complessità di una questione da sempre alla ricerca di una soluzione. Il teologo
americano H.
Richard Niebuhr ricordava, nell’ormai classico Christ and Culture (1951),
che la “perplessità” del
pensiero cristiano nei confronti del rapporto tra religione e politica è una
questione perenne: «Nel
nostro tempo presente prendiamo decisioni sulla base della libertà e della fede.
Prendiamo decisioni
sulla base della libertà perché dobbiamo decidere. Non siamo liberi di non
decidere». Il momento
attuale richiede una ripresa di responsabilità da parte del laicato cattolico:
responsabilità che gli è
teologicamente propria, politicamente dovuta, e non concessa per buona condotta.
Una delle maggiori tentazioni per i cattolici italiani sarebbe quella di
rifugiarsi in una sorta di
agnosticismo: sia nei confronti della politica, sia sul versante dei rapporti
tra chiesa e politica. Un
agnosticismo che è solo un’altra versione – non meno pericolosa – del populismo
dell’anti-politica.
Massimo Faggioli in “Europa” del
30 settembre 2009