Laici e amore-odio
col Vaticano: dipende dalle convenienze?
Laici a seconda delle convenienze. Laici solo quando fa comodo. In soldoni, è
questo il senso
dell'editoriale di Pierluigi Battista, ieri sul «Corriere». Lo spunto,
naturalmente, è offerto dalla
politica, dalle vicende politiche: la retromarcia di Berlusconi sul reato di
clandestinità. Retromarcia,
come raccontano tutti i commentatori, dovuta soprattutto all'intervento del
Papa. In questo caso,
però, scrive Battista, la sinistra non è insorta gridando all'ingerenza delle
autorità ecclesiastiche
nella vita politica. Stavolta, la sinistra, visto che condivide le parole di
Benedetto XVI sui migranti,
ha fatto finta di nulla. Ma così non vale, aggiunge l'editorialista. Non ci si
può ergere a sentinelle
della laicità a seconda degli argomenti. Ratzinger va bene quando fa argine alla
xenofobia, va male
quando si occupa di aborto o quando vieta i diritti alle coppie gay.
Pierluigi Battista, come sempre molto attento, forse coglie un problema della
sinistra. Sicuramente
coglie una novità. Non fosse altro perché per la prima volta, in questo
Pontificato, la massima
autorità della Chiesa sostiene una tesi che stride con i programmi, con le
culture del potere politico.
Che nella vecchia Europa e - ancora per un po' - negli Stati Uniti coincide con
la destra, con le
destre. A voler fare i pignoli, più che sostenere una tesi, il Papa la fa
sostenere, affidandola al
responsabile della conferenza episcopale sull'immigrazione. Ma si tratta di
dettagli, comunque è una
novità. Subito colta da Battista.
Subito utilizzata da Battista per una delle sue domande: perché questo doppio
atteggiamento della
sinistra? Degli intellettuali laici e di sinistra? Domanda che risulterebbe
sicuramente scomoda. Se
però si accettasse la premessa di quella domanda. Se si accettasse l'idea che
gli interventi del Papa
siano tutti "uguali". Siano classificabili tutti allo stesso modo, rientrino
tutti nella stessa categoria. Il
suo diritto ad intervenire nella "res publica". Nella politica. Diritto
beninteso che nessuno,
fortunatamente nessuno, si sogna di vietare od ostacolare. E non certo per
convenienza. Ma perché
la Chiesa rappresenta una comunità di cultura, di filosofia, di storie personali
e collettive che è una
parte rilevante di questo paese. E il suo "giudizio" sulle vicende del mondo o
di questa piccola
nazione devono avere il peso che meritano. Insomma, la politica, la politica di
uno Stato laico non
può ignorare la comunità dei cattolici. A questo punto occorrerebbe aprire una
lunga parentesi per
provare a capire cosa sia davvero questa comunità: perché fino a prova contraria
comprende anche
figure come quella di don Sardelli. O ragionare sul fatto che la comunità è
"governata" da una
monarchia assoluta. Accettata ma assoluta. Ma tutto questo porterebbe fuori
strada.
Resta il fatto che nessuno si sognerebbe di vietare la critica o l'intervento da
parte delle autorità
ecclesiastiche. Ma c'è un metro, forse, un metro per valutare ciò che è
"intervento" e ciò che è
"ingerenza". Per metterla giù semplice. Parliamo di diritti, che è il tema dei
temi, che è la cartina per
scoprire la filosofia che c'è dietro ad ogni singola parola. Ci sono i "diritti
facoltativi", come li
chiama la cultura democratica. Sono quelli che garantiscono agli individui la
libertà di scelta.
Libertà che non lede quella dei loro simili. E' il diritto al divorzio, che non
lede l'analogo diritto di
una coppia cattolica a riconoscere l'indissolubilità della loro unione. E' il
diritto al riconoscimento
dei legami sentimentali fra le coppie gay che non mette minimamente a
repentaglio l'analogo diritto
di una coppia eterosessuale. C'è il diritto di una coppia convivente ad ottenere
uno status
accettabile, senza che venga sottratto nulla ad un uomo e ad una donna che
scelgono di sposarsi. In
Chiesa o in Comune. C'è il diritto delle donne a scegliere se e come avere un
figlio. Senza che
questo venga a contrastare le scelte di chi crede che l'embrione appena
fecondato sia già una vita. E
come tale vada difeso. E' il diritto di chi sceglie di arrendersi davanti alla
malattia, sceglie di non
volerla più combattere. Senza che questo vada ad intaccare il diritto di chi
chiede e rivendica che la
struttura sanitaria lo sostenga fin quando è possibile.
Pretendere che un governo vieti quei diritti, pretendere - ma perché non dire le
cose come stanno?:
chiedere e ottenere dai governi, tutti, compresi quelli di centrosinistra - che
intervengano a limitare
la libertà di scelta è ingerenza. Dalla quale uno Stato laico deve difendersi,
dovrebbe difendersi. E
quello Stato dovrebbe farlo per sè, per il "patto" che ha contratto con i
cittadini ma dovrebbe farlo
anche per la Chiesa. Perché - almeno questo la storia lo ricorda sempre - non è
mai esistita una
libera Chiesa senza un libero Stato. Senza quest'ultimo non esisterebbe un
organismo religioso in
grado di poter criticare il potere politico. O semplicemente di poter dire la
propria.
C'è la richiesta di "sottrarre diritti", allora, su cui questo Pontificato
sembra specializzarsi. C'è la
richiesta di imporre la propria visione anche a chi non la condivide. E questo,
da secoli, si chiama
integralismo. Poi, tre giorni fa, c'è stata la richiesta al governo di non
negare un diritto universale.
Quello all'accoglienza, ad un trattamento umano. Il diritto che deriva
dall'essere nati su questo
pianeta, il diritto a non essere vittima di leggi e culture xenofobe, razziste.
Non c'è la pretesa di
limitare le scelte di altri, non c'è la propria visione del mondo imposta per
legge. C'è la richiesta del
rispetto di un diritto universale. Di un diritto in più, non di un diritto in
meno. Non è lo stesso
intervento, non può rientrare nelle altre categorie.
E allora i difensori di uno Stato laico - gli ormai pochi difensori di uno Stato
laico in un Parlamento
che ieri ha salutato all'unanimità come "ottime" le parole di Berlusconi in
visita dal Papa: "Sono in
totale sintonia con ciò che sostiene il Vaticano" - non dovrebbero avere
problemi a valutare le
posizioni della Chiesa. Considerandole importanti, legittime certo, ma
valutandole nel merito. Bene
o male. E provando a bloccare i tentativi di Stato confessionale. Ripetendo che
è un segno di civiltà
l'intervento di Benedetto XVI contro un provvedimento razzista ma che è sintomo
di arretratezza
culturale l'imposizione sull'aborto, sui gay, sulla fecondazione, sulla ricerca
scientifica, sul primato
da assegnare all'insegnamento privato. Sulla guerra invece non si sa. Battista
sostiene che
l'ambiguità della sinistra c'è anche sulle frasi del Papa contro la guerra. Ma
su questo tema
Benedetto XVI non ha mai detto nulla. Nulla di rilevante. Banalità
insignificanti alla Frattini, per
capire. E forse non è un caso.
Stefano Bocconetti Liberazione
7 giugno 2008