LAICI, CATTOLICI, CLERICALI

Scritti e discorsi sulla laicità si moltiplicano in questi primi giorni di campagna elettorale. Anche quanti non si sono fin qui appassionati alle reprimende del papa, agli isterismi di Ferrara o ai distinguo sul laicismo di Galli Della Loggia sono costretti a fornirsi di strumenti adeguati per orientarsi nella babele lessicale.

Forse un contributo risolutivo viene, come altre volte, dalle donne in movimento. Un gruppo di loro ha scritto, rivolgendosi a Veltroni, a Bertinotti e ai dirigenti del centro-sinistra: "L’offensiva clericale contro le donne – spesso vera e propria crociata bigotta - ha raggiunto livelli intollerabili..." Clericali invece che cattolici, crociata invece che campagna mediatica. È un invito agli strateghi della sinistra e del centrosinistra impegnati nella rincorsa al consenso dell’elettorato cattolico senza accorgersi che è forse privo di senso reale usare in politica la categoria cattolico. Le ultime vicende che agitano le acque dell’arcipelago ex democristiano lo conferma. Casini denuncia l’intransigenza di Berlusconi, che nega al suo partito lo status di vassallo privilegiato concesso a Bossi, accusandolo di escludere i cattolici dall’ammucchiata del Popolo della Libertà e invoca il sostegno del cardinale Ruini per evitare questa frattura. L’intervento dell’ex presidente della Cei è stato però sconfessato, più o meno apertamente, dal giornale della Santa Sede ispirato dal Segretario di Stato vaticano. Nel frattempo è nato un nuovo partito cattolico profanando il simbolo della rosa bianca usato, ieri, nella clandestinità dai cattolici tedeschi antinazisti e ripreso, negli ultimi anni, da un’associazione di cattolici democratici di orientamento politico democratico e progressista. Allo stesso titolo aspira Mastella che, dopo aver sfiduciato l’altro cattolico Prodi, è andato in pellegrinaggio da Padre Pio per accompagnare la moglie graziata dagli arresti domiciliari.

Cattolici sono anche Cuffaro e la P-Democratica Binetti. Rusconi sulla Stampa di mercoledì 13 febbraio parla di una “Chiesa zittita” che a suo avviso è consenziente con la sua denuncia di una rinascita del guelfismo: una massa di cattolici zittiti, ridotti al silenzio, perché anche a sinistra o nel centro-sinistra l’unica voce riconosciuta cattolica è quella del papa o di chi per lui. Se si fosse più attenti e informati si distinguerebbe fra gerarchia e chiesa cattolica, fra cattolicesimo e integralismo cattolico, e ci si accorgerebbe che non esiste un “tesoretto” di voti cattolici da spartire. Ci sono voti di clericali e di integralisti che nessuna acrobazia mediatica può spingere a coinvolgersi in un voto comunque destinato a favorire la sinistra: neppure il prete progressista o il vescovo illuminato. Ci sono voti di cattolici moderati che non si spaventano del divorzio o della 194 - ne hanno votato la permanenza in sede referendaria – e chiedono solo che non vengano troppo toccati i loro interessi, come tutti i moderati, di questo mondo, così come non mancano cattolici democratici, progressisti o sinistrissimi allineati a tanti altri non cattolici di analogo orientamento.

Si segua in campagna elettorale l’esempio delle donne: si parli chiaro. L’opposizione non è fra i cattolici e i laici, ma fra questi e i clericali, la promozione di valori “irrinunciabili” è solo una crociata integralista quasi che sui temi etici non esista altra morale che quella cattolica. Il regime concordatario impone alla gerarchia, non ai cattolici, il rispetto della sovranità dello stato che le fornisce ingenti risorse col finanziamento pubblico per finalità religiose e assistenziali non perchè si trasformi in soggetto politico, per di più con pretesa di insindacabilità. In queste condizioni inseguire il feticcio del “voto cattolico” diventa un alibi per non turbare equilibri interni alle nuove formazioni che pur sono eredi di una collaborazione fra De Gasperi e Togliatti, Moro e Berlinguer che aveva assecondato l’emancipazione della società italiana fuori del pantano clerico-fascista prima che gli Accordi di craxiana memoria ne ricostruissero le premesse.

P.S.: E se estendessimo la pulizia lessicale chiamando sfruttamento la produttività che Montezemolo, e non solo, vuole legare agli aumenti salariali o agli sgravi fiscali magari solo sugli straordinari?

Marcello Vigli      da  www.italialaica.it (15-2-2008)