Dopodomani sarà nelle
sale spagnole, il 26 novembre in quelle israeliane, il 18 dicembre
dovrebbe arrivare anche negli Stati Uniti e probabilmente a gennaio
prossimo in Francia. Accompagnato da polemiche, destinato a far
discutere, è il film Agorà del regista Alejandro Amenábar, un
ritratto di Ipazia, matematica alessandrina, inventrice del
planisfero e dell’astrolabio. Ma soprattutto un duro atto d’accusa
contro tutti i fondamentalismi religiosi.
Hanno acquistato i diritti per farlo arrivare sul grande schermo anche a
Taiwan, in Thailandia e in Grecia. In Italia, per il momento, tutto
tace. I produttori l’hanno guardato con attenzione al Festival di Cannes
a maggio, quando era stato presentato fuori concorso. Poi una lunga
pausa di riflessione. Così lunga e così silenziosa da aver fatto pensare
a molti a qualcosa di più di una semplice valutazione dal sapore
economico-aziendale. Sulla rete hanno incominciato a circolare voci
sempre più insistenti di pressioni per evitare che il film venisse
proiettato nelle sale italiane.
A un certo punto, dalle voci si è passati a una petizione rivolta ai
produttori e distributori del film «per provare a voi e ai media che
esiste un gran numero di persone» che invece aspettano di vederlo. La
petizione è passata di sito in sito e di gruppo in gruppo su Facebook.
In pochi giorni ha superato le 700 firme, aiutata anche dall’uscita, in
questi giorni, di un libro su Ipazia (Ipazia, scienziata alessandrina,
La lepre edizioni). «Oggi la chiesa tenta nuovamente l’opera di
cancellazione di questa figura scomoda», spiega Mario su Facebook per
invitare a firmare la petizione «Non voglio parlare di censura -
aggiunge Jan Klaus Di Blasio, l'autore della richiesta - ma deve far
riflettere la mancanza di testi sul Neoplatonismo e su Ipazia».
Ha firmato anche Piergiorgio Odifreddi, matematico, saggista, e
soprattutto fiero anticlericale: «La figura di Ipazia è esemplare.
Era una matematica, donna di grande cultura, la sua fu la prima
battaglia tra scienza e fede. La perse, divenne prima martire della
scienza per mano di uomini mandati dal vescovo di Alessandria, Cirillo.
Sono trascorsi milleseicento anni ma siamo ancora allo stesso punto».
Il film, infatti, racconta la storia della scienziata (Rachel Weisz,
l’attrice inglese premio Oscar per The Constant Gardener), in una
Alessandria d’Egitto del IV secolo d.C., provincia di un Impero romano
in disfacimento, dove si scontrano tre gruppi religiosi. Cristiani,
ebrei e seguaci del culto pagano di Serapide si massacrano a colpi di
pietre e coltelli. A nulla vale la giovane saggezza di questa donna
filosofa, matematica, astronoma, che vorrebbe fermarli. Cristiani
cattivissimi, giudei sanguinari, pagani studenti di astronomia
trasformati in soldati, si accaniscono uno contro l’altro mentre i
romani stanno a guardare. «Le similitudini tra quei tempi lontani e oggi
sono molte - aveva ammesso Amenábar alla presentazione di Cannes -.
Questo film non è certo contro una o l’altra delle religioni ma contro
ogni eccesso, ogni fondamentalismo e ortodossia».
E però i cristiani non ci fanno una gran figura: alla religione di
Cristo appartengono i parabolani, i monaci che con una mano danno da
mangiare ai poveri e con l’altra scatenano i massacri.
Flavia Amabile La Stampa
7/10/2009 |