La voce delle libere coscienze

«Io sostengo la validità del nostro modello italiano di rapporto con le personalità pubbliche, un
modello che, fino ad ora, lasciava la vita privata alla sua privatezza, mentre la vita pubblica, vale a
dire il dovere nei confronti degli elettori, o l’operato svolto in base alla carica istituzionale
ricoperta, andava giudicato con precisione, giustizia, competenza. Purtroppo si sta affermando il
modello sassone che contempla lo scandagliamento dei vizi delle persone, mettendoli in pubblico
per un fariseismo assurdo. Il ragionamento che ci sta dietro è questo, è che siccome hanno questo
vizio, allora non possono più governare. Io, come prete vorrei giudicare una persona per la sua vita
cristiana, per i rapporti che ha con me, con la sua vita di fede. Se, invece, sto valutando la statura di
un politico evito di scavare negli eventuali fanghi, le miserie umane, semmai guardo il suo operato
di governo, il bene che ha fatto per la collettività. Questo è sempre stato il modello italiano al quale
sono abituato. Il modello americano ha ribaltato l’impostazione di giudizio. Se questa è la regola,
allora, mi chiedo chi si può davvero salvare? Sono tutti così inattaccabili coloro che gridano allo
scandalo?».
Sono parole di un vescovo italiano, e le riporto perché mi hanno fatto pensare. Fino a qualche
tempo fa forse le avrei capite. Anch’io detesto il gossip, ho rispetto per la vita privata, so che tutti,
cittadini e statisti, siamo peccatori e che abbiamo la tendenza a cercare le pagliuzze negli occhi
degli altri dimenticando le travi nei nostri. Capisco anche che c’è una secolarità che sconsiglia i
moralismi eccessivi… Anche un politico laico e di centrosinistra ha dichiarato: «Come il premier
passa il suo tempo non dovrebbe essere di particolare interesse. Salvo che le occupazioni non
abbiano un carattere sconvolgente da indurre a un giudizio morale. Credo che sia troppo presto per
tirare un giudizio morale sul premier».

Capisco la cautela e il rispetto. Però è anche necessario ricordare che il bene comune è un
patrimonio di idee e valori che vanno difesi.
Bisogna avere il coraggio di dire la verità e di
guardarla in faccia. Bisogna ritrovare la capacità di giudicare, la forza di sdegnarsi. Un altro politico
ha detto, con molto equilibrio: «Il linguaggio triviale e il maschilismo becero che sono emersi ci
dicono di un ethos pubblico che si è sfarinato. Non sono un moralista ma non pensavo che dovessi
assistere al dominio dell’immoralismo».

Bisogna scegliere fra l’indifferenza e la passione civile. Che comunità politica siamo se non
c’importa la qualità dell’esempio che i “grandi” offrono ai “piccoli”, se chi ha il potere ne può
abusare impunemente?
Ha ragione Rocco D’Ambrosio, sacerdote e docente di filosofia politica, quando ricorda che
«intorno a questi fatti si sviluppa una curiosità morbosa, che non fa bene ad alcuno: né a chi cerca di
soddisfare il proprio desiderio di sapere; né a chi è protagonista di queste vicende. Ad ogni modo, al
cittadino spetta il dovere della vigilanza sulla politica e della riprovazione morale.
Atti che poi si
concretizzano nel ritirare la fiducia, nel caso in cui quei fatti riprovevoli vengano accertati in modo
inequivocabile». E conclude: «Condivido l’invito che ha rivolto il direttore di “Famiglia Cristiana”
a tutti i vescovi italiani: occorre affrontare i problemi ed esprimere una valutazione chiara, alla luce
del Vangelo. Non è un giudizio di condanna, ma un richiamo alla responsabilità che incombe su chi
riveste una carica pubblica».
La passione civile! Credenti e non credenti hanno l’opportunità in questi giorni, e io credo anche il
dovere, di gridare il loro sdegno morale per i comportamenti di personaggi politici (ed anche
“grandi” dell’economia o dello spettacolo) che dissipano il patrimonio comune di tanti cittadini,
famiglie, gruppi, comunità approfittando del proprio potere con prepotenza, esibizione di ricchezza,
comportamenti scandalosi, bugie e impunità (abbiamo dimenticato le leggi ad personam o le
speculazioni finanziarie?!).

Non per fare i moralisti, ma è un momento serissimo per la politica e la società. Le storie che si
leggono sui giornali sono meschine, ma l’indifferenza e la complicità che le accompagnano rivelano
una situazione drammatica dell’etica privata e pubblica, e dunque del Paese.

C’è una sottovalutazione del problema. Chi dirà qualcosa di alto e forte, adeguato? Ci vorrebbero
davvero molti “cattolici adulti” (e ci ha turbato che qualcuno consideri insignificante questa
espressione: forse perché evoca che quando eravamo bambini agivamo e obbedivamo come
bambini, ma se siamo adulti dobbiamo parlare e giudicare in coscienza, come adulti maturi? San
Paolo sarebbe d’accordo).
Ho pensato al tempo della occupazione nazista nell’Italia disfatta: nella tragedia si udì forse più la
voce delle libere coscienze, dei ribelli e dei poeti, che quella delle istituzioni (civili e religiose).
Ricordo Quasimodo: “Sei ancora quello della pietra e della fionda; uomo del mio tempo… Senza
amore, senza Cristo”. O Ungaretti: “…un gemito d’agnelli si propaga smarrito per le strade
esterrefatte… Cristo, pensoso palpito, perché la tua bontà si è tanto allontanata?”. Dolore, sdegno,
invocazione. Anche oggi bussano alla nostra porta. O basta una mancia per le opere pie?

Solo gli uomini di coscienza e di buona volontà, credenti e non, possono ricostruire questo Paese
nel quale ormai i cittadini parlano delle malefatte e delle volgarità dei propri capi non per
condannarle, ma per soffermarsi sui dettagli, magari con invidia… Si vorrebbe che quanti si
pongono come guide morali abbiano il coraggio di alzare la voce; con spirito di misericordia certo,
ma anche con chiarezza e coraggio, passione civile e ansia per il bene della società.
È difficile, per non dire scandaloso, confrontare le parole pronunciate per Eluana o per Welby e i
silenzi concessi per palazzo Grazioli e dintorni.

Angelo Bertani    in “Adista” - Segni nuovi – n. 78 dell'11 luglio 2009